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Quotidiano Piemontese

La tragica storia del vino piemontese che uccise decine di persone negli anni ’80

Risale a quasi quarant’anni fa lo scandalo del vino al metanolo

Luca Vercellin

Pubblicato

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TORINO – L’episodio del vino al metanolo risale a marzo del 1986.

Il più grave scandalo nel settore del vino coinvolge, sfortunatamente, il Piemonte. Il caso provocò 23 morti e decine di persone con lesioni gravissime (perdita della vista).

La causa? La pratica di aumentare la gradazione alcolica del vino con il metanolo o alcool metilico, un alcool naturale che è notevolmente tossico.

Nei primi giorni di Marzo, nel milanese, morirono due uomini per un’intossicazione da metanolo. Le indagini dei carabinieri risalgono alla causa dell’avvelenamento: i due milanesi erano entrambi degli abituali consumatori di un vino Barbera prodotto da una cantina della provincia di Asti.

A confermare ogni sospetto, un’altra persona di 51 morì al Niguarda per la medesima motivazione. Anche nella sua dispensa furono trovate bottiglie di Barbera.

I ricoverati al Niguarda cominciano ad aumentare, tutti per la stessa intossicazione. Tutti, avevano in dispensa una bottiglia di quel barbera regolarmente venduto al supermercato.

Le vittime avevano bevuto vino proveniente e prodotto dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole in provincia di Cuneo. I titolari, padre e figlio Ciravegna, avevano aggiunto dosi elevatissime di metanolo per alzare la gradazione alcolica, ignorandone la tossicità per l’organismo.

Il metanolo si ottiene in maniera naturale dalla fermentazione dell’uva: è tollerabile e normale trovarne in piccole quantità.

Si scoprì, però, che i produttori aumentavano le quantità di metanolo per alzare la gradazione alcolica del vino. Il metanolo è infatti ben più economico dell’etanolo, che normalmente si usa per la produzione di vino da tavola.

Il vino avvelenato prodotto dai Ciravegna venne imbottigliato dalla ditta Vincenzo Odore, di Incisa Scapaccino (Asti).

Successivamente venne venduto in vari supermercati del nord-ovest.

In seguito alle morti del Niguarda, fu dato l’incarico al sostituto procuratore della Repubblica Alberto Nobili di fare luce su quanto accaduto.

Ha quindi inizio lo scandalo più clamoroso del settore alimentare in Italia: il Vino al Metanolo.

Dopo pochi giorni le autorità italiane resero nota la marca dei vini che avevano causato i primi casi di avvelenamento.

Accertamenti di laboratorio rivelarono la presenza di metanolo in quantità superiore a quella prevista dalla legge.

All’epoca il ministro dell’Agricoltura era il democristiano Filippo Pandolfi, che riferì in senato della presenza, sugli scaffali italiani, di 600 mila litri di vino Killer.

Il 24 marzo 1986 una nave cisterna italiana venne sequestrata a Sète, in Francia. Il carico di vino della nave cisterna italiana Kaliste fu messo sotto sequestro: il vino trasportato della ditta Antonio Fusco di Manduria (Taranto) venne sospettato di contenere metanolo.

A distanza di pochi giorni, vennero arrestati i titolari della ditta Ciravegna.

Già nel 1984 l’Ispettorato centrale repressione frode (ICRF) contestò alla ditta Ciravegna un uso improprio ed eccessivo di metanolo.

L’anno 1984 è stato l’anno cruciale per questa frode: la legge 28/84 detassò fortemente il metanolo.

Alcuni produttori e commercianti spregiudicati decisero quindi di adulterare il vino con il metanolo, più economico e veloce per la fermentazione rispetto allo zucchero. I controlli, del resto, erano molto rari.

Questa pratica, attuata rapidamente per ridurre i rischi di essere scoperti, portò all’impiego di circa 2,5 tonnellate di metanolo in pochi mesi.

In risposta, il Governo adottò misure urgenti per prevenire e reprimere le frodi alimentari, vietando la commercializzazione di vini prodotti da una lista di aziende coinvolte nello scandalo, che si rivelò di dimensioni nazionali.

Questo scandalo segnò una svolta nel settore vinicolo italiano, che si orientò progressivamente verso un modello produttivo basato su qualità, identità territoriale e certificazioni d’origine, trasformandosi in un simbolo del cambiamento nell’intero sistema agroalimentare italiano.

 

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