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Cronaca

Chiusura indagini sull’incidente della teleferica a Calasca Castiglione: tre indagati per omicidio colposo

L’impianto era autorizzato solo per il trasporto di legna

Gabriele Farina

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VERBANIA – La Procura di Verbania ha chiuso le indagini sull’incidente avvenuto lo scorso 4 luglio a Calasca Castiglione, nel Verbano-Cusio-Ossola, che ha portato alla tragica morte di Margherita Lega, 41 anni. La donna è precipitata nel vuoto mentre caricava i bagagli su una teleferica in direzione dell’Alpe Drocala, a 940 metri di altitudine, dove avrebbe dovuto trascorrere una vacanza con il marito e i due figli minorenni.

Gli indagati sono tre: il titolare della concessione dell’impianto a fune, il presidente dell’associazione Comunità Rigenerative – che gestisce l’ecovillaggio meta della vittima – e la persona che ha materialmente azionato la teleferica da monte. Il pubblico ministero Nicola Mezzina ipotizza per tutti e tre il reato di omicidio colposo in concorso.

Un impianto fuori norma

L’autorizzazione della teleferica era scaduta da oltre sei mesi. Destinato esclusivamente al trasporto di legna, l’impianto era stato utilizzato in modo improprio per il trasporto di persone e oggetti. Secondo quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini, l’impianto era originariamente autorizzato per “l’esbosco di materiale legnoso da boschi cedui” e non per usi diversi.

La Procura evidenzia che il titolare della concessione avrebbe permesso l’uso dell’impianto da parte di residenti e visitatori senza rispettare le minime misure di sicurezza. Tra le criticità segnalate figurano l’assenza di dispositivi di segnalazione sonora o visiva tra le stazioni di monte e di valle e la scarsa visibilità tra i punti di comando e di partenza dell’impianto.

Scarsa visibilità e comunicazioni lacunose

La mancanza di visibilità tra le due stazioni si è rivelata un elemento cruciale. Il manovratore, che ha azionato la teleferica dalla stazione di monte, non poteva avere una chiara visuale della zona di partenza. Ostacolata da piante e dalla conformazione del terreno, la visuale risultava “precaria e incompleta”, come sottolinea il PM Mezzina.

A ciò si aggiunge un tragico malinteso. Poco prima dell’incidente, la vittima e il marito avevano ricevuto istruzioni telefoniche da uno degli indagati, che li aveva invitati a caricare i bagagli sulla barella della teleferica. L’uomo aveva garantito che avrebbe azionato l’impianto una volta arrivato alla stazione di monte. Tuttavia, l’impianto è stato attivato da un’altra persona, ignara della presenza dei turisti, che intendeva richiamare la barella per un uso diverso.

Le accuse

Le contestazioni mosse ai tre indagati ruotano attorno a una gestione negligente dell’impianto. In particolare, si imputa:

  • al titolare della concessione, la mancata vigilanza sull’uso dell’impianto per scopi non autorizzati;
  • al presidente dell’associazione, l’omissione di verifiche sulla sicurezza dell’impianto;
  • al manovratore, l’aver azionato la teleferica senza accertarsi dell’assenza di persone in prossimità della barella.

La Procura sottolinea che il sistema era utilizzato da più persone senza che venissero adottate misure di prevenzione per evitare rischi ai fruitori.

L’inchiesta ora apre la strada al possibile rinvio a giudizio dei tre indagati, che dovranno rispondere delle gravi accuse mosse nei loro confronti. Intanto, la comunità locale resta scossa da una tragedia che avrebbe potuto essere evitata con una gestione più attenta e responsabile.

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