Cittadini
I giovani piemontesi sono i più attivi politicamente, eppure vengono ignorati
Tra i più impegnati politicamente del paese, sono pronti a farsi carico delle sfide del futuro. Perché la giunta regionale li ignora?
TORINO – Visbili nella sfera pubblica, invisibili agli occhi della politica: questo il quadro che emerge dei giovani piemontesi nell‘ultimo studio dell’Università di Torino.
Nella ricerca ad opera di Francesco Ramella e Sonia Bertolini, emergono le sfide demografiche e lavorative del giovane Piemonte. Negli ultimi 35 anni, i giovani under 35 si sono ridotti di un terzo. Sebbene ci troviamo in un clima di calo demografico comune a tutta Europa, la nostra regione è tra le zone più colpite del continente.
L’invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite portano a un circolo vizioso di fragilità economica nella nostra regione: la contrazione della forza lavoro influirà negativamente sullo sviluppo e sulle opportunità economiche.
Le ultime generazioni, come quella attuale, vivono un’epoca cosiddetta di policrisi, caratterizzata da difficoltà economiche, instabilità lavorative e da una più lenta transizione alla vita adulta. Nella nostra regione, infatti, il 61% degli under 35 vive con i genitori. In Francia, per capirci, rimane con i genitori solo il 47% dei giovani.
Nonostante ciò, sta emergendo una nuova generazione di giovani che si distingue per il proprio impegno sociale, una maggiore mobilitazione politica e una rinnovata partecipazione nella sfera pubblica. Il Centro studi Luigi Bobbio ha intervistato i giovani dai 18 ai 34 anni, indagando su sei temi distinti.
Al centro della rilevazione sono: lavoro, tecnologie, percezione del futuro, priorità di sviluppo, religione e spiritualità, fiducia istituzionale e partecipazione. Ciò che emerge è un bagliore di luce in un contesto ormai rassegnato a prospettive tenebrose.
I giovani piemontesi prendono parte a forme di partecipazione pubblica in misura superiore rispetto al resto del paese: 63% rispetto al dato nazionale di 56,4%. Molto popolari sono i boicottaggi, le petizioni e le proteste di piazza.
La sfiducia verso le istituzioni tradizionali resta elevata “con una crescente preferenza per forme di impegno più fluide e intermittenti, caratteristiche delle democrazie occidentali contemporanee”.
Gli autori della ricerca sottolineano che “seppure in forma embrionale, i dati testimoniano una mobilitazione crescente dei giovani e la nascita di una nuova generazione politica, che deve tornare al centro dell’agenda politica”.
“I giovani rappresentano un potente motore di trasformazione che, se adeguatamente sostenuto, potrebbe invertire il declino della regione Piemonte e riportarla su una traiettoria di crescita inclusiva e sostenibile.”
E’ ormai evidente come la classe politica piemontese non si stia dimostrando all’altezza delle sfide che colpiscono i più giovani.
Siamo in un contesto di transizione economica, sociale ed ecologica: le dinamiche sono profondamente diverse da quelle che abbiamo conosciuto il secolo scorso e sperare di poter continuare a crescere seguendo i medesimi meccanismi rappresenta una pia illusione.
Se il processo economico occidentale si sta spostando – spesso con successo – verso una via de-industrializzata e volta all’hi-tech, ai servizi e all’innovazione, perché da trent’anni a questa parte la nostra Regione si rifiuta di seguire a ruota?
Sarebbe quanto meno irresponsabile non voler concedere una chance a vie di sviluppo alternative, che non concentrino tutto il capitale umano di cui disponiamo nell’automotive, un’industria che sta declinando inesorabilmente e che sembra voler abbandonare il nostro territorio a tutti i costi.
Lecito è chiedersi come mai, in una regione che ospita due delle Università più importanti del paese, nessun esponente politico abbia mai redatto un piano per trattenere le migliaia di giovani laureati nei nostri atenei, in settori chiave per lo sviluppo economico futuro. Non solo: arrivano nelle nostre aule brillanti giovani da tutto il mondo, che prendono la conoscenza a loro disposizione per poi portarla in paesi con stipendi più alti.
Se i dati dimostrano come ci sia una generazione pronta a farsi carico di alcune sfide cruciali per il futuro della nostra regione, lascia avviliti vedere una giunta regionale che rincorre un modello produttivo che fallisce da 30 anni a questa parte.
I dati sono stati reperiti su Otto, il giornale web dell’Università degli Studi di Torino.
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