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Cultura

Parlando di Nina la poliziotta dilettante con Valeria Bianchi Mian

L’eroina noir di Carolina Invernizio

Gabriele Farina

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TORINOCarolina Invernizio ha scritto, a partire dal 1879, circa 130 romanzi. Autrice prolifica e molto meno nota di quanto meriterebbe, torna in questi giorni in libreria grazie alla collana Capolavori Ritrovati di Capricorno, che ha ripubblicato Nina la poliziotta dilettante.

Si tratta di un vero e proprio noir con protagonista una giovane operaia che si trasforma in indagatrice (in “poliziotta”, dice lei stessa) per vendicare la morte del suo grande amore, scoprendone gli assassini.

Nina non è però una Miss Marple ante litteram, è molto di più. E’ una giovane donna coraggiosa, abile a inventare, scoprire, nascondere, tessere trame i creare trappole. Se fosse lei la cattiva della storia sarebbe un villain coi fiocchi! Invece è l’eroina ed è una donna normale in un momento in cui (il libro esce nel 1909) cominciano timidamente a muoversi i primi movimenti di rivalsa femminile e delle lavoratrici.

Il romanzo è un intreccio davvero notevole e godibile, che non lascia spazio al lettore per prendere fiato, coinvolgendolo in una ridda di eventi e di misteri, di segreti e inganni. Un romanzo molto moderno sia per stile che per storia. Un romanzo che ci racconta anche alcuni aspetti della Torino di inizio secolo scorso, toccando trasversalmente classi sociali e personaggi diversi. Ne abbiamo parlato con Valeria Bianchi Mian, autrice di una interessante lettura a fine volume.

Intervista con Valeria Bianchi Mian

Questa riedizione firmata Capricorno ci permette di conoscere Nina, giovane operaia che si reinventa “poliziotta”, un’eroina estremamente significativa. Che personaggio è?

È una donna coraggiosa, Nina, laddove con coraggio si intende un intreccio che armonizza istinto di sopravvivenza, testardaggine consapevole e capacità di assumersi il rischio dell’osare. Nina osa aprire varchi, svelare segreti, aggirare ostacoli. Lei squarcia i veli che nascondono la realtà dei fatti dietro le convenzioni, desiderando “la verità” con tutta se stessa. Sì sente libera di essere coraggiosa in un mondo in cui alle donne, più che altro – soprattutto alle popolane – erano suggeriti il mutismo, la rassegnazione, il limite normativo, soprattutto quando venivano sospettate di omicidio. Nina è versatile come un gatto e scaltra come una volpe; il suo istinto animalesco, in collaborazione con una certa capacità deduttiva e una buona organizzazione mentale, le suggerisce come muoversi nelle trame intricate, nel torbido famigliare. È un personaggio che ama travalicare i rigidi confini tra nobiltà e volgo. Irriverente quanto basta, al contempo utilizza le convenzioni per seguire la propria strada e scegliere in modo autonomo.

Ci troviamo in un noir vivissimo e con grande ritmo. Possiamo dire che la storia e lo stile di Carolina Invernizio sono molto moderni?

Lo possiamo dire adesso, certamente. Nonostante le ambientazioni e le relazioni descritte da Carolina Invernizio siano quelle tipiche dei primi del ‘900 ci sembra di poter scorgere, sotto gli abiti delle nobildonne e delle popolane, il cuore che dopo decenni avrebbe battuto al ritmo delle “streghe son tornate”. Sarebbe stato, il futuro femminismo, riconosciuto in germe tra le crinoline? Nel 1909, anno della pubblicazione di Nina, Freud dava al mondo le “Cinque conferenze sulla Psicoanalisi” e stava formulando la complessità di una teoria dentro quale le donne in conflitto tra desiderio/corpo e convenzioni, bollate facilmente come “isteriche”, trovavano posto in prima fila. Nel romanzo abbiamo una Nina che si permette di giocare con i travestimenti e in parte sembra divertirsi a danzare tra i generi. Questi, essendo rigidamente definiti, le permettono un gioco di ruolo che appare molto moderno, ma non è il portare i pantaloni che aiuta Nina a risolvere il mistero. Piuttosto, diremmo che l’intuito, unito alla riflessione, è cova di donna.

Buoni e cattivi in questa storia sembrano ben distinti, ma poi finiscono per mischiarsi decisamente. Cosa pensi dei personaggi di questo romanzo?

In questo romanzo, così come in molti altri scritti di Carolina Invernizio, i cattivi e buoni in apparenza sembrano ben delineati e differenziati, ma poi si scopre che ci sono dei pori, dei pertugi, dei passaggi attraverso i quali l’Ombra dei buoni fa capolino ed è capace di nefandezze. Di crudeltà “a fin di bene”. Il lato buono dei cattivi, invece, è capace di stimolare per la nostra compassione. Ci riconosciamo allo specchio delle donne di Carolina, in generale. Mi vengono in mente, ad esempio, le protagoniste de “Il bacio di una morta” e “La vendetta di una pazza”: Nara e Clara, la cattiva e la buona, sono l’una lo specchio dell’altra. Se l’autrice mette alla lavagna ai cattivissimi da una parte buonissimi dall’altra, presto scopriremo che tutte le posizioni estreme si possono smussare e mescolare nello svolgimento della trama. Grazie al perdono e alla consapevolezza, se non alla morte.

In questa vicenda troviamo tante donne. Donne nobili, donne costrette a una vita di stenti, donne che vivono solo per l’inganno, donne lavoratrici, donne in cerca di riscatto… è un romanzo al femminile o semplicemente racconta un periodo storico in cui cominciava ad esserci un accenno di consapevolezza di uguaglianza di genere?

Trovo interessante che nei romanzi inverniziani l’elemento del potere, che sia quello del denaro o del piacere, del manipolare gli uomini, ma anche del “poter fare per sé”, emerga nelle figure femminili come elemento sul quale le lettrici e i lettori possono riflettere oggi. Si era ancora distanti dal femminismo consapevole, certamente, e le possibilità professionali offerte alle donne nel 1909 erano tutte da conquistare. Proprio nel 1909 è nata Rita Levi Montalcini: una bella speranza per il futuro era stata seminata in quell’annata! Sempre nel 1909 ha avuto luogo la prima Giornata Nazionale della Donna, in memoria dello sciopero di migliaia di camiciaie a New York, le stesse che giusto pochi mesi prima avevano rivendicato migliori condizioni di lavoro.

Sullo sfondo Torino di inizio ‘900. Ti sarebbe piaciuto conoscere la città in quel momento?

Io adorerei compiere un viaggio nel tempo. Adoro l’idea di esplorare i luoghi andando a ritroso. Avevo scritto, per esempio, un racconto ambientato nel 1905 a Villa della Regina, una storia ispirata alla figura di Giulia Cavallari Cantalamessa, che è stata una delle prime donne laureate alla Facoltà di Lettere di Bologna, allieva di Giosuè Carducci, direttrice della scuola per le figlie dei militari che aveva la sua sede in quell’edificio. Potrei chiedermi se in una delle mie vite precedenti io non abbia in effetti conosciuto la Torino otto-novecentesca. Chissà. Entrerei in un altro campo.

Carolina Invernizio ha scritto 130 romanzi eppure non è tra le autrici più note. Meriterebbe di essere riscoperta?

Assolutamente sì, perché il suo lavoro rivela una fine conoscenza delle relazioni tra uomini e donne, ma anche tra le donne. Un incontro tra Lilith, la prima moglie di Adamo, ed Eva, per esempio, è di certo tra i mitologemi che possiamo svelare nelle storie di Carolina Invernizio. Era e Afrodite, Estia e Atena ci fanno l’occhiolino nelle mogli, madri, vedove, fanciulle, ricche signore e mendicanti che hanno molto da dire di sé nei romanzi di una autrice che era capace di scrivere quattro testi per volta. Una donna con una enorme capacità creativa. Ha ricevuto molte critiche ma ha continuato a camminare lungo la sua strada, costruendo un Olimpo prismatico che ancora oggi è capace di farci riflettere..

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