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Ambiente

Sette condanne per associazione a delinquere finalizzate al bracconaggio ittico: stroncata rete criminale tra Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna

Condanne fino a due anni di reclusione e una multa di 4.500 euro: ecco cosa prevede la norma contro chi pesca in modo scorretto

Sandro Marotta

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TORINO – Dopo quasi tre anni di indagini e processi, l’operazione di contrasto al bracconaggio ittico nei pressi dei corsi d’acqua di Novara è giunta a una sentenza: 7 imputati su 8 totali sono stati condannati.

Le operazioni di indagine erano state avviate nel 2021 dal reparto “CITES” dei carabinieri, ovvero quel team che si occupa di applicare la Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora (la norma sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione).

Tutto era partito da una denuncia fatta dalla Lega Nazionale per la Difesa del Cane, che aveva notato attività illecite che avrebbero potuto rientrare nel reato di bracconaggio ittico. Questa situazione è normata dall’articolo 40 della legge 28 luglio 2016, n. 154, che recita:

è considerata esercizio illegale della pesca nelle medesime acque ogni azione tesa alla cattura o al prelievo di specie ittiche e di altri organismi acquatici con materiale, mezzi e attrezzature vietati dalla legge. È altresì considerata esercizio illegale della pesca nelle acque interne ogni azione di cattura e di prelievo con materiali e mezzi autorizzati effettuata con modalità vietate dalla legge e dai regolamenti in materia di pesca emanati dagli enti territoriali competenti

Le indagini hanno portato all’applicazione di pena per 6 degli degli otto imputati, uno è stato condannato in rito abbreviato e l’ultimo è stato assolto.

La pena maggiore inflitta è stata di due anni di reclusione e una multa di 4.500 euro, mentre tutti hanno ricevuto una pena per associazione a delinquere finalizzata al bracconaggio ittico, immissione nel commercio di alimenti non genuini, frode alimentare, commercio di sostanze alimentari nocive e uccisione di animali, con un giro d’affari di circa 200mila euro l’anno grazie a bolle e documenti di viaggio falsi.

La rete criminale che traeva profitto danneggiando però i pesci, si estendeva non solo per tutto il Piemonte, ma anche in Veneto, in Lombardia e in Emilia Romagna. Il centro logistico tuttavia era a Borgo Ticino, in provincia di Novara.

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