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Cultura

Margaret Bourke-White, la fotografa che ha raccontato il mondo

La mostra in corso a Camera colpisce il visitatore con la pulizia delle immagini, con il coraggio degli scatti e con la lucidità con cui Margaret Bourke-White racconta i momenti più drammatici della storia del ‘900

Gabriele Farina

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TORINO – E’ in corso a Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino, fino al 6 ottobre 2024 l’esposizione Margaret Bourke-White. L’opera 1930 – 1960, un percorso espositivo a cura di Monica Poggi che racconta attraverso 150 fotografie il lavoro, di una delle più straordinarie fotografe del ‘900.

Capace di raccontare il mondo nelle sue situazioni più estreme e difficili sulle pagine delle riviste a grande diffusione come LIFE, Margaret Bourke-White è una donna la cui opera merita di essere nota al grande pubblico.

Chi è Margaret Bourke-White

Le trasformazioni del mondo sono il cuore della ricerca entusiasta e incessante della fotografa nata a New York nel 1904, che studia biologia alla Columbia University e frequenta per alcune settimane il corso di fotografia tenuto dal famoso fotografo pittorialista Clarence H. White.

Nel 1929 l’editore Henry Luce la invita a New York per contribuire alla nascita della rivista illustrata Fortune e da quel momento la carriera di Bourke-White è un percorso in continua ascesa: pubblica celebri reportage sulle industrie americane e viaggia in Unione Sovietica. Negli anni Trenta delinea un’estetica particolarmente vicina agli ideali della rivista LIFE, concepita come una finestra sul mondo, testimone oculare dei grandi avvenimenti della storia. Se inizialmente i suoi lavori si contraddistinguono per la quasi totale assenza dell’uomo in favore delle architetture e delle macchine industriali, con la pubblicazione del libro fotografico You have seen their faces (1937) compie un cambio di rotta, concentrandosi sulla denuncia della povertà e della segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti.

Durante la Seconda guerra mondiale realizza reportage in Unione Sovietica, nel Nord Africa, in Italia e in Germania, seguendo l’entrata delle truppe statunitensi a Berlino e documentando gli orrori dei campi di concentramento. Bourke-White predilige la posa alla presa diretta spontanea più cara a Robert Capa, scelta che trasforma anche le persone più umili in attori universali, rappresentati di una collettività, eroici anche nella miseria. Dopo una carriera di reportage indimenticabili, nel 1957 è costretta ad abbandonare la fotografia a causa dei sintomi del morbo di Parkinson, dedicandosi alla scrittura della sua autobiografia Portrait of myself.

Margaret Bourke-White. L’opera 1930 – 1960

La mostra in corso a Camera racconta tutto questo, colpendo il visitatore con la pulizia delle immagini, con il coraggio degli scatti (impressionanti le fotografie aeree considerando il periodo in cui sono state scattate) ma soprattutto con la lucidità con cui Margaret Bourke-White racconta i momenti più drammatici della storia del ‘900.

L’orrore dei campi di concentramento, l’illogicità delle guerre, i contrasti dei luoghi del mondo. Tutto è preesente nell’opera della fotografa americana. Significative le foto nell’India di Ghandi, forti e possenti quelle che mostrano il contrasto nell’America che ha assimilato il razzismo come modo di vivere quotidiano. E ancora i luoghi di lavoro più estremi, dagli altoforni alle miniere del Sudafrica, luighi in cui Bourke-White riesce a cogliere l’enormità del lavoro e i volti dei lavoratori che raccontano un mondo intero.

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