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Cronaca

Ventitré anni fa il G8 di Genova: ecco i legami che il vertice del 2001 ha con il Piemonte

Dal “Comitato Chiapas Torino” ai manifestanti portati nelle carceri di Alessandria, Novara e Vercelli: il Piemonte ha partecipato in vari modi al G8 genovese

Sandro Marotta

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PIEMONTE – 23 anni fa, il 19 luglio 2001, iniziava il G8 di Genova. Il vertice più sanguinoso e processato d’Italia riguarda l’intera evoluzione del movimento internazionale “No Global” (e dei movimenti sociali tout court), la storia della città di Genova e lo sviluppo dell’ordine pubblico in Italia. Oltre a questo però il G8 genovese ha dei curiosi collegamenti con il Piemonte, vediamo quali e dopo sintetizziamo i tre elementi cardine per ricordare che cosa successe tra il 19 e il 22 luglio 2001.

I movimenti torinesi a Genova

Innanzitutto, Torino e le sue realtà hanno partecipato al G8 di Genova. Nel 2001 esisteva un comitato di solidarietà con le lotte rivoluzionarie in Chiapas (“Comitato Chiapas Torino”, ora inattivo). Questo gruppo, che partecipò ai cortei di Genova, sosteneva l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN) che, guidato dal “Subcomandante Marcos” lottava per il riconoscimento dei diritti politici e civili in Messico, con una posizione anti capitalista.

A Torino era nato anche un social forum, che fece poi parte della rete di realtà che gravitavano intorno al Genoa Social Forum (qui il “patto di lavoro” del gruppo). “Un altro mondo è necessario”: questo lo slogan con cui la declinazione torinese si preparò al G8.

Dalle piazze genovesi alle carceri piemontesi

Le carceri di Alessandria, Novara e Vercelli furono scelte come destinazioni per le persone che erano state fermate in piazza a Genova e poi trasportate a Bolzaneto, dove avvennero gli episodi di tortura. Uno dei manifestanti fermati, un docente di filosofia di nome Emilio, raccontò a processo che mentre era sul furgone diretto al carcere di Alessandria vide un ragazzo che non riusciva a rimanere seduto sul sedile; poche ore prima infatti era stato pestato dagli agenti dopo che avevano scoperto che il 21 luglio era il suo compleanno. Fonte: Settembre, R. (2013) Gridavano e piangevano, Einaudi

Il Gruppo Abele e il vertice della Digos

Dopo il processo, Spartaco Mortola, il capo della Digos di Genova e uno degli imputati di primo piano, propose al giudice di scontare 9 mesi di pena negli uffici del Gruppo Abele di Torino. La richiesta fu rifiutata dal tribunale perché, nonostante fosse riconosciuto responsabile, non fece il “gesto di pubblica ammenda”. Fonte: Agnoletto, V, Guadagnucci, (2021) L. L’eclisse della democrazia, Feltrinelli

Chi c’era in piazza a Genova?

Vediamo sinteticamente che cosa successe 23 anni fa, partendo da chi manifestava contro gli 8 grandi della Terra. Secondo questo resoconto dei fatti approvato alla Camera dei deputati il 20 settembre 2001, la questura di Genova suddivise i manifestanti in quattro blocchi, “a seconda delle diverse modalità di proteste”. Il blocco rosa, in cui si fecero rientrare le associazioni di volontariato, le ong e quei partiti politici considerati non pericolosi; il blocco giallo, con dentro le tute bianche e i centri sociali come il Leoncavallo di Milano; il blocco blu, e cioè i centri sociali considerati più violenti, come il torinese Askatasuna; infine il Blocco nero, al cui interno vi erano i black bloc, quegli individui giunti a Genova per protestare solo in modo violento.

Giuliani e la Diaz

Dopo la lunga fase di preparazione dei movimenti e delle forze dell’ordine, “i giorni dei vertice furono caratterizzati da gravi disordini e dalla morte di un giovane manifestante, Carlo Giuliani, che fu colpito da un colpo d’arma da fuoco esploso da un carabiniere accerchiato da manifestanti.” Giuliani fu ucciso venerdì 20 luglio in piazza Alimonda, dopo che i carabinieri caricarono a freddo il corteo pacifico delle tute bianche. Sabato 21 fu teatro della “macelleria messicana” nella scuola Diaz: la polizia fece irruzione nell’edificio adibito a dormitorio per alcuni manifestanti e li pestò. Ci furono 82 feriti di cui alcuni gravi e uno in coma. Nella stessa sera la polizia attaccò anche alcuni giornalisti all’interno dell’istituto “Pascoli”, sede delle redazioni di radio e giornali che documentavano il vertice.

La tortura a Bolzaneto

Nel frattempo, nella caserma di Bolzaneto, i/le manifestanti fermati dalle forze dell’ordine furono picchiati. Tra gli i molti reati commessi dagli agenti oltre i pestaggi, si ricorda che alcuni minacciarono di stupro le detenute e si intonarono canzoni fasciste come “faccetta nera”.

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