TORINO – Si spacciava per un agente dell’FBI e un carabiniere, mostrando tesserini falsi, richiedendo documenti e redigendo rapporti di servizio per sembrare credibile. Per attirare le sue vittime, gli bastava chiedere: «Hai ancora la passione per i carabinieri?». Ai ragazzini di soli 13 anni sembrava di vivere in un videogioco, come se fossero in una partita infinita di “Call of Duty”.
I fatti
Il finto agente segreto, I.R., 20 anni, soffriva di un disturbo antisociale della personalità e terrorizzava tre adolescenti, costringendoli a compiere atti sessuali come punizioni o premi per avanzare nella sua falsa associazione paramilitare. Si spacciava per agente dell’FBI e carabiniere, ingannando i ragazzi con tesserini falsi e comportamenti autoritari. È stato condannato a sette anni di carcere per aver creato un pericoloso gioco di ruolo che portava le vittime all’isolamento sociale, permettendogli di agire impunemente.
Le accuse formulate dalla pm Livia Locci riassumono perfettamente la realtà distorta che l’imputato aveva creato intorno a sé: violenza sessuale aggravata, estorsione e sostituzione di persona. Il giudice ha ordinato che risarcisca le sue giovani vittime (rappresentate dagli avvocati Stefania Audisio, Benito Capellupo ed Edoardo Carmagnola) con una somma provvisionale di 40 mila euro ciascuna e 10 mila euro per ogni genitore costituitosi parte civile.
I racconti dei ragazzi erano tutti simili, molto dettagliati e sconvolgenti. Avevano incontrato “il capo” a scuola, era l’ultimo anno ed era il ragazzo più grande, che guidava, litigava con i genitori e diventava violento anche con loro. Per entrare nella sua associazione, imponeva un regolamento rigoroso e norme di comportamento, esercitando un controllo maniacale sulle vittime. I ragazzi avevano installato un’app che permetteva al “capo” di monitorare i loro spostamenti in tempo reale. Dovevano rispettare orari e perlustrare fabbriche abbandonate ogni giorno per addestrarsi. Ogni errore veniva punito con sanzioni, anche da 400 euro, violenze fisiche e sessuali, anche di gruppo. Sfruttava le loro fragilità e imponeva la sua volontà come “prove di coraggio”.
Poi arrivavano le minacce, anche di rapimento o morte, con conseguenze gravi che avrebbero coinvolto parenti e amici. Viveva da solo perché, secondo il gip nell’ordinanza di misura cautelare, “i suoi genitori non erano più in grado di fronteggiare la sua aggressività”. E lì avvenivano le violenze: non mostrava mai pietà, nemmeno per le richieste più semplici delle sue giovani vittime.