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Oltre il simbolo di Palazzo Nuovo: come alcuni cittadini di Torino sono in contatto con la Palestina e le vittime della guerra

Watermelon friends approfondisce le raccolte fondi GoFundMe, Torino per Gaza ha promosso il tavolo FoodforGaza, Sorella Palestina organizza mostre d’arte

Sandro Marotta

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TORINO – In Piemonte e a Torino in particolare c’è una rete civica che supporta la popolazione palestinese tramite raccolte fondi, supporto psicologico, attivismo via social e raccolta di beni di prima necessità; molte di queste sono sconosciute alla maggior parte degli studenti che per 40 giorni hanno occupato (e da poco liberato) Palazzo Nuovo.

Negli ultimi mesi il capoluogo piemontese è diventato un anello della catena di aiuti internazionali diretti alle vittime della guerra tra Israele e Palestina, sia con nuove forme di attivismo sui social network, sia con tavoli di cooperazione e raccolta di beni essenziali; vediamo di che si tratta.

Watermelon friends

La rete  Watermelon friends si occupa di promuovere e approfondire raccolte fondi a beneficio del popolo palestinese; WF è nata a febbraio e in meno di 6 mesi ha ottenuto un seguito di quasi 20 mila persone sui social network. Il nome “watermelon” deriva dal fatto che i colori dell’anguria sono gli stessi della bandiera palestinese e quindi il frutto è diventato il simbolo ideale per manifestare solidarietà alla Palestina, senza incorrere nella presunta censura da parte di Meta sui social network. Un’ipotesi confermata da questo studio di Human rights watch.

Andando ad intervistare gli studenti dell’Intifada studentesca, Quotidiano Piemontese ha scoperto che ci sono diverse volontarie torinesi che ne fanno parte. “Siamo un gruppo auto organizzato e nato spontaneamente – spiegano le fondatrici di Watermelon friends, contattate al telefono – al momento siamo circa 70 volontarie sparse in tutta Italia, comprese alcune in Piemonte e ci occupiamo di raccogliere le richieste di aiuto di famiglie palestinesi che ci contattano su Instagram. Al momento ne abbiamo 260 in carico.”

Ogni volontaria si occupa di aiutare due o tre famiglie e con esse chatta quotidianamente, tramite messaggi o videocall. Ciascuna persona o famiglia palestinese avvia un GoFundMe personale, che poi viene diffuso da Watermelon friends; i soldi arrivano direttamente sul conto delle persone in difficoltà, senza intermediari.

“Ci siamo organizzate in diversi gruppi di lavoro: uno si occupa di raccogliere i messaggi in direct e raggrupparli, un altro approfondisce le storie di queste famiglie: scoprire dove abitano, chi sono, cosa fanno. É importante per evitare gli scammer (truffatori ndr).”

“Altri ancora – continua Emanuela, una delle volontarie – monitorano luogo e frequenza dei bombardamenti per capire quali famiglie siano più a rischio e forniscono anche una assistenza alla comunicazione digitale per quei e quelle palestinesi che hanno difficoltà con i social.”

L’impegno emotivo richiesto per ascoltare e seguire le storie delle persone sfuggite ai bombardamenti è un fattore di cui tenere conto. “Non nascondo che spesso è molto duro sapere che qualcuno potrebbe non rispondere più ai messaggi perché è stata ucciso o sfollato. Anche per questo abbiamo contattato una ragazza di Torino che fa parte di Psicologia per la Palestina per organizzare degli incontri di supporto emotivo che aiutino le volontarie.”

Torino per Gaza

Torino per Gaza è un rete informale di cittadini che supportano la causa palestinese; negli ultimi mesi ha avviato una serie di raccolte fondi per gli sfollati e le vittime del conflitto. Oltre ad aver raccolto 8 mila seguaci su Instagram in pochi mesi, a gennaio i portavoce di questa rete sono stati ricevuti dal sindaco di Torino per avviare progetti di aiuto concreto; il capoluogo torinese infatti è gemellato con Gaza (e la città israeliana Haifa) fin dal 1999. Qui c’è l’elenco dei progetti di cooperazione conclusi.

Sulla spinta di Torino per gaza, anche i distaccamenti torinesi di diversi enti hanno aderito al tavolo “Food for Gaza“; il progetto è sostenuto dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, e comprende FAO, Programma Alimentare Mondiale (PAM) e Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (FICROSS).

La storia di Muna

Ci sono attiviste che hanno preso l’iniziativa in prima persona per avviare progetti di aiuto. É il caso di Muna Khorzom, attivista torinese di origine siriana: “Io gestisco personalmente un gruppo di volontari palestinesi che al momento sono sfollati, ma vogliono comunque dare una mano. Prima erano a Gaza, poi si sono spostati a Rafah e ora sono a Khan Yunis. Quest’inverno, qui da Torino, ho organizzato un’iniziativa chiamataRiscaldiamo Gaza“, per fornire coperte e vestiti agli sfollati, dato che faceva freddissimo lì”.

A ToperGaza si affiancano le azioni di Sorella Palestina.

Sorella Palestina

“Nella maggior parte dei casi – spiega un’attivista del gruppo Sorella Palestina, altro coordinamento informale che fa parte di To per Gaza – ci muoviamo come mostra d’arte itinerante. Esponiamo le opere di artisti nei parchi delle città e dei quartieri e le persone possono acquistarle con un’offerta libera. Dopo di che inviamo il ricavato alle associazioni di cui ci fidiamo che operano in Palestina o in West Bank.”

Sorella Palestina ha partecipato anche alla raccolta fondi per aiutare una ragazza palestinese (che ha preferito rimanere anonima) che si trovava in visita in un’università italiana quando, con l’attentato di Hamas il 7 ottobre, è iniziato lo scontro diretto tra Israele e Palestina. Bloccata in Italia, ora sta cercando di aiutare i suoi familiari ad uscire dalla Striscia.

“Al momento siamo alle seconda open call per artisti internazionale, ma a fianco di questo progetto collaboriamo anche con Gazzella Onlus, un’associazione senza fini di lucro che si occupa di assistenza, cura e riabilitazione dei bambini palestinesi feriti da armi da guerra”.

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