Cultura
Come El kann pe li Agnelli, Adriano Marenco racconta a teatro la saga di una famiglia
Insomma l’intera saga familiare trasformata in personaggi iconici, simbolici, caratteristici
TORINO – Gli Agnelli. La famiglia che più di tutte ha segnato la storia d’Italia, nel bene e nel male. Adriano Marenco ha trasportato la loro storia (stralci, simboli, attimi, momenti della loro storia) in un testo teatrale, parte di una trilogia che affronta alcuni momenti della storia d’Italia.
Si tratta di tre memoriali, editi da Edizioni Progetto Cultura, dedicati a Giangiacomo Feltrinelli, ai fatti del G8 di Genova e, appunto, agli Agnelli. Il Memoriale I porta il titolo affascinante di Come El kann pe li Agnelli.
In scena abbiamo contemporaneamente Agnelli di epoche diverse, vivi e morti, potenti e sconfittti. Gianni e Giovanni Agnelli, Edoardo senior, Virginia Bourbon, Umberto, Edoardo, Margherita, perfino Giorgio (l’Agnelli segreto), Giovannino, Marella, fino ad arrivare a Lapo e John Ekann. Circondati da personaggi che è facile ricondurre agli originali:Il Grande Franzo e Pietro Papetti, con Henry Kissinger.
Insomma l’intera saga familiare trasformata in personaggi iconici, simbolici, caratteristici. Marenco va giù pesante, come è giusto che faccia chi dichiara di aver scritto “tre atti politici”, e tratta i temi più tosti e controversi della storia della famiglia. Dalle accuse di appoggio al fascismo agli intrallazzi, alle invidie ed agli scontri. In due atti si attraversa la storia della famiglia, con al centro l’Avvocato ed un simbolico lingotto. Ci vengono sbattute in faccia senza pietà eredità, conflitti, gelosie, tradimenti, sesso e vendetta. Davero una saga familiare restituita a colpi di simboli dignificativi ed evidenti, con un futuro da scrivere ma probabilmente segnato dal passato.
L’intervista con Adriano Marenco
Tre Memoriali, tre atti politici. Perchè hai deciso di portare a teatro questi tre simbolici spaccati della storia d’Italia?
Io credo che uno dei compiti più importanti per un drammaturgo sia quello di indagare e portare alla luce i meccanismi che sono dentro la storia, elaborandoli attraverso la propria visione personale e il proprio stile. Forse anacronisticamente vivo ancora il teatro in senso anche brechtiano. Sono convinto che il teatro debba lavorare verso una maggiore consapevolezza sociale. Attraverso tutti i fallimenti possibili una delle necessità cui deve assolvere la drammaturgia è quella di una ricerca volta ad un miglioramento della società. Ed indagare nei meccanismi sociali e politici, ripeto sempre attraverso uno stile personale perché il teatro è anche ricerca del linguaggio, è il modo che ritengo migliore per capire, io per primo, perché di fallimento in fallimento la nostra società è arrivata ad un certo punto, io stesso sono arrivato ad un certo punto. Tale analisi deve essere specifica ed universale allo stesso tempo. In questa trilogia drammaturgica ho cercato di fare questo. Per questo questi tre memoriali, “Come El kann pe li Agnelli”, “Il senno di Osvaldo – Giangiacomo Feltrinelli tra utopia e paranoia” e “UnoaZeroperNoi – Sandra C”, sono anche tre atti politici. Il primo atto politico è l’industria indagata attraverso le vicende della famiglia Agnelli, il secondo atto politico è la verità ricercata per mezzo di una Cassandra immersa nei fatti del G8 di Genova ed il terzo atto politico è Gli anni di piombo scandagliati nelle vicissitudini di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore della casa editrice omonima e del Gruppo d’Azione Partigiana, gruppo di guerriglia di estrema sinistra. Grazie ovviamente anche a Edizione Progetto Cultura che ha pubblicato i tre Memoriali nella collana teatrale ScenaMuta.
Veniamo agli Agnelli. Siamo di fronte alla famiglia che più di tutte ha segnato la storia del Paese?
Su questo non credo ci siano dubbi. In un certo senso la famiglia Agnelli è stata l’erede diretta dei Savoia. Personaggi enormi sempre sulla cresta dell’onda e sulla cresta dell’ombra. Ha fatto muovere centinaia di migliaia di vite in una sorta di transumanza dal sud al nord. Ha cambiato letteralmente l’esistenza a un numero spropositato di persone. È stata decisiva come nessun’altra in politica ed in economia, ha regalato sogni e perché no, dispensato incubi.
Nella tua messa in scena tocchi gli aspetti più turpi e devastanti della famiglia, riportando in vita anche fatti molto dolorosi…
Credo fosse inevitabile, ci sono vicende personali talmente tragiche che avvicinano la storia degli Agnelli ad una tragedia Shakespeariana. Scorre moltissimo sangue tra suicidi veri e presunti, malattie misteriose, pazzia, incidenti mortali e tradimenti. La storia della famiglia è più grande della vita stessa, una sceneggiatura Bigger than life.
Al centro della scena c’è un lingotto e come questo sono tanti i simboli utilizzati. Chiedi una partecipazione attiva allo spettatore per la comprensione di quello che vede in scena?
Sì. Il teatro non è Wikipedia. “Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro; dovrebbe andare in bagno”, diceva Brecht. E in effetti molti preferiscono decisamente la seconda opzione. Detto ciò credo sia necessaria una partecipazione emotiva e mentale attiva da parte dello spettatore. Se vogliamo che qualcosa rimanga nel cuore e nella mente questa deve sedimentare e lavorare con il tempo. Il teatro non può essere solo distrazione da sé stessi.
La famiglia Agnelli ha fatto più bene o male a questo Paese?
Questa è un terreno minato! Ci voglio riflettere bene, perché ho un mucchio di teorie campate in aria al riguardo. Comunque, a parte le battute, nel complesso credo che abbia fatto più bene che male all’Italia, non sono sicuro invece che si possa dire la stessa cosa su Torino. Ho l’impressione che una volta uscita dal giogo usurante dell’essere la capitale industriale d’Italia, Torino abbia ripreso a respirare come si fosse tolta di dosso una cappa soffocante, ma allo stesso tempo quella cappa forse l’ha preservata dal divenire una città-merce per soli turisti. Non sottovaluterei neanche il ruolo delle fabbriche della FIAT come straordinario crogiuolo umano e politico. Escludo l’indotto economico e di fama internazionale portato dalla Juventus, oggi parliamo solo di pane e non di circo. Ma non sono nato a Torino, ci vivo da quattro anni e quindi le mie sono solo impressioni esterne.
Allarghiamo il campo. Qual è per te il compito di un autore teatrale?
Ritorniamo alla risposta che ti ho dato alla prima domanda. Più sinteticamente direi abbattere muri e allontanare gli orizzonti. Cercare di lavorare sull’uomo attraverso una ricerca artistica e politica, ricerche che devono essere inscindibili. A me Pinter, Brecht, Beckett, Büchner, Thomas Bernhard hanno davvero aperto la mente. Certo il talento non sempre è lo stesso ma la strada deve essere quella se si vuole tornare a dare un senso globale all’arte, fuggire dalla banalità alternata all’intellettualismo intellettualoide che ci impantana in questi tempi. Per me l’arte dovrebbe cercare di salvare l’uomo personalmente e di conseguenza globalmente. Fallimento per fallimento, tanto vale fallire alla grande!
Quale strada vorresti prendessero questi tre memoriali? C’è già un’ipotesi di messa in scena?
“UnoaZeroperNoi – Sandra C, Cassandra al G8” è andata in scena varie volte in varie versioni (principalmente come corto), ha anche vinto dei premi, ma ancora non ha una sua forma definitiva.
“Il senno di Osvaldo – Giangiacomo Feltrinelli tra utopia e paranoia” è in cantiere per il 2025.
“Come El kann pe li Agnelli” è il mio grande sogno. Ma è uno spettacolo che avrebbe assoluta necessità di fondi. Anzi, se c’è un produttore al quale prudono le mani, e che sta leggendo queste righe… Sì. stai cercando proprio questo testo!
I tre memoriali di Adriano Marenco
Il primo memoriale è “Come El kann pe li Agnelli”, la storia della più grande famiglia di imprenditori italiani, gli Agnelli. Il primo atto politico è: L’Industria.
Il secondo memoriale è “UnoaZeroperNoi – Sandra C”, Il G8 e la lotta no-global di Genova visto attraverso la figura di Cassandra. Il secondo atto politico è: La verità.
Il terzo memoriale è “Il senno di Osvaldo- Giangiacomo Feltrinelli tra utopia e paranoia”, la storia di Giangiacomo Feltrinelli che unisce in sé il grande editore e la lotta armata degli anni ’70. Il terzo atto politico è: Gli Anni di Piombo.
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