Cultura
E se la storia del Grande Torino e di Superga fosse andata diversamente?
L’intervista con Orazio Di Mauro
TORINO – Chissà quante volte i tifosi del Toro si sono chiesti cosa sarebbe accaduto se quell’aereo non si fosse schiantato sulla collina di Superga, se quel giorno non ci fosse stata la nebbia, se per qualche motivo la squadra non fosse salita su quel veivolo a Lisbona? Come sarebbe andata la storia del calcio italiano?
Questo è lo spunto da cui nasce E se un angelo a Lisbona… scritto per Neos Edizioni da Orazio Di Mauro e Sergio Gabetto, figlio di quel Guglielmo Gabetto che, purtroppo invece su quell’aereo era salito. In realtà quello che i due autori provano ad immaginare non è un futuro calcistico con il Grande Torino presente, ma più semplicemente un futuro (semplicemente un futuro) per alcuni di quei protagonisti, meglio, per alcuni di quegli uomini.
Il tutto si svolge in pochi giorni, dal 30 aprile 1949, partita di campionato con l’Inter, al 15 maggio 1949, prima partita di campionato dopo l’amichevole di Lisbona, dopo quel volo maledetto, dopo Superga. La voce narrante è quella di Guglielmo Gabetto e con lui si muove l’amico Carlo Ossola. Sono loro ad accompagnarci in Portogallo in un susseguirsi di giorni che sembrano normali, col pensiero alle famiglie, al futuro calcistico, agli scherzi tra compagni. Poi però una sensazione, una veggente, alcune coincidenze… e la storia cambia.
Intervista con Orazio Di Mauro
Sliding doors. Una sensazione, una decisione e la storia cambia. Come è nato questo racconto?
Tutta colpa del mio precedente romanzo giallo “Rosso diretto” ambientato nel mondo del calcio torinese edito anche questo da NEOS Edizioni.
Sergio Gabetto (figlio del grande centravanti Guglielmo) mio amico d’infanzia dopo averlo letto mi ha proposto di scrivere un racconto su suo padre in occasione del settantacinquesimo anniversario della tragedia di Superga.
Abbiamo così elaborato insieme questa idea di Gabetto ed Ossola che non salgono sull’aereo che riporta la squadra a Torino.
Quello che abbiamo di fronte è un romanzo molto intimo, non è la storia del Grande Torino ma è la storia di due uomini. Come avete scelto di impostare la vicenda?
Nell’unico modo che ci è parso possibile: con la narrazione, di Gabetto in prima persona, dei giorni precedenti l’incontro col Benfica a Lisbona e di quelli immediatamente seguenti il suo arrivo a Torino insieme all’inseparabile (dentro e fuori dal campo) Carlo Ossola. La difficoltà maggiore è stata far coesistere le vicende reali,attingendo alla cronaca, con quelle verosimili frutto della nostra immaginazione.
Come scrisse Peter Drucker: Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo. E abbiamo provato ad inventarlo. Così raccontiamo i due amici che si aggirano per Lisbona, giocano l’ultima partita, fanno incontri… e poi succede qualcosa…
Come avete lavorato a quattro mani con Sergio Gabetto?
Ovviamente Sergio è stato fonte indispensabile di particolari riguardanti suo padre ed in generale degli uomini che formavano la squadra granata e il mondo di tifosi che, anche dopo la tragedia, ha continuato a considerare gli Invincibili come qualcosa di ancora presente.
Insieme abbiamo elaborato il plot, ragionando su come si sarebbe espresso un giocatore negli anni quaranta al culmine della carriera, ma comunque sempre saldamente legato al suo quartiere e alla sua torinesità. Poi è entrato in gioco il mestieraccio del sottoscritto.
Come è stato accolto il romanzo dai tifosi del Toro, che sono una tifoseria molto particolare?
Direi che è stato accolto molto bene, le recensioni sono state buone (in particolare abbiamo molto apprezzato le gentili parole di Massimo Gramellini, anche se forse era un po’ influenzato dalle sue preferenze calcistiche!). Ciò che ci ha veramente stupito è che al Salone del Libro tutte le copie sono state vendute. Ma soprattutto è stato commovente sentire i commenti molto positivi dei tifosi che sono corsi ad acquistarlo in libreria. Qualcuno mi ha confessato di aver versato qualche lacrima terminata la lettura.
Cos’è per te il Grande Torino?
Mia mamma, incinta, partecipò insieme ad altre cinquecentomila persone ai funerali del Grande Torino e io nacqui quattro mesi dopo. Sarà un caso? Avevo forse altre possibilità di tifo?
Come detto il romanzo parla di uomini e non di calcio ma… se quell’aereo non fosse caduto su Superga, come sarebbe cambiata la storia del calcio italiano?
Questa domanda ce la siamo posta e ci siamo resi conto subito che tentare di dare una risposta ci avrebbe portato fuori strada. Il romanzo finisce pochi giorni dopo Superga con un punto interrogativo, lasciando Gabetto a chiedersi quale potrebbe essere il suo futuro con la consapevolezza però che il suo Toro, quel Toro, non sarebbe esistito più.
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