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Storie di ‘ndrangheta in Piemonte: dal processo “Betulla” alla maxi-operazione “Minotauro”

Oggi (21 marzo) si ricordano le vittime innocenti delle mafie. Da Torino al Vco passando per Asti e Cuneo, ci sono alcuni casi di infiltrazione di ‘ndrangheta nella nostra regione e in questo articolo Quotidiano Piemontese li ha approfonditi

Sandro Marotta

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TORINO – Oggi, 21 marzo, si celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. É utile ricordare che le organizzazioni mafiose hanno radici profonde non solo al sud, ma anche nel tessuto sociale piemontese; in particolare l’infiltrazione di ‘ndrangheta è stata accertata da processi giudiziari e dossier, tutti raccolti da Libera Piemonte.

tratto dal report “Siamo ancora nel labirinto della ‘ndrangheta?” di Libera Piemonte

La maxi operazione “Minotauro” (Torino)

Il processo che più di tutti ha messo in luce le infiltrazioni mafiose nel territorio piemontese è stata l’operazione “Minotauro”, avviata nel 2011 insieme all’indagine “Albachiara”. L’indagine ha fatto emergere una rete di affiliazione di ‘ndrangheta in diverse zone della provincia di Torino, in particolare nel Canavese; ogni cellula piemontese (detta “locale”) aveva un referente in Calabria e il responsabile provinciale, secondo le indagini, era Giuseppe Catalano, toltosi la vita nel 2012.

“L’inchiesta Minotauro mostra l’esistenza di un’estesa area grigia in cui si configurano rapporti di riconoscimento e scambio tra sfera criminale-mafiosa e sfera formalmente lecita dell’economia e della politica.” – spiega a pagina 32 il dossier Le mafie in Piemonte, impariamo a conoscerle – “Emerge in modo più chiaro come i mafiosi riescano a infiltrarsi nell’economia locale di piccoli-medi centri della provincia e dell’hinterland di Torino, alterando gli equilibri di mercato, soprattutto di settori debolmente regolati come quello delle costruzioni“.

Le indagini di “Minotauro” hanno portato allo scioglimento per infiltrazione mafiosa dei consigli comunali di Leinì e Rivarolo Canavese; la Cassazione ha condannato 50 indagati.

Libera Piemonte ha messo a disposizione un approfondimento qui.

Il processo “Barbarossa” (Asti e Cuneo)

Nel 2018 ha preso il via l’operazione “Barbarossa”. Questa inchiesta ha messo in luce l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella provincia di Asti e in quella di Cuneo. Le indagini hanno riguardato 50 soggetti, di cui 26 sottoposti a custodia cautelare; si trattava soprattuto di commercianti, imprenditori e astigiani che hanno avuto contatti con le famiglie Emma, Stambé e Catarisano. I reati contestati erano di furto, estorsione, associazione mafiosa, porto d’armi, delitto contro la pubblica amministrazione e acquisizione illecita di attività economiche (soprattutto nell’ambito del calcio).

Come è avvenuta l’infiltrazione?

“L’associazione mafiosa si è sostituita allo Stato”, si legge nel report su “Barbarossa” curato da Libera Piemonte. In pratica i cittadini si rivolgevano agli affiliati per i servizi che essi offrivano, come supporto economico, recupero crediti o consulenza finanziaria; dopo poco tempo però i rapporti si invertivano e il mafioso ricattava l’imprenditore.

Le operazioni “Betulla” e “Asso” (Vco)

Anche nel Verbano-Cusio-Ossola sono arrivati i tentacoli della ‘ndrangheta. “Betulla” ha preso avvio nella zona di Domodossola nel 1993 dopo che Digos e Criminalpol fecero irruzione in alcuni locali dell’Ossola, scoprendo traffici di armi e droga. Il “twist” alle indagini fu fornito da alcuni pentiti, che negli interrigatori rivelano la presenza di un locale mafioso nel Vco. Hanno preso così avvio due filoni di indagine: uno per approfondire le estorsioni e le attività economiche illecite e un altro per fare chiarezza sulla politica locale del Vco (soprattuto nel Consiglio comunale di Domodossola e nel partito Socialista).

“Dei diciotto imputati, – spiega il report del processo curato da Libera – tre sono assolti con formula piena, due
vengono dichiarati non colpevoli in relazione al capo a (relativo all’associazione a delinquere di stampo mafioso), mentre tredici vengono condannati. La pena più elevata viene pronunciata nei confronti del capo, Domenico C.: diciotto anni di reclusione. Per gli altri condannati, le pene variano dai due ai dieci anni e sei mesi di reclusione”.

Nel 2001 è stata avviata “Asso“, un’altra inchiesta della procura sulle infiltrazioni mafiose nel Vco. A fare da miccia erano state le intercettazioni effettuate sui sospettati per detenzione di armi e operazioni economiche illecite, che hanno rivelato la presenza di codici e comportamenti di stampo mafioso nelle relazioni del gruppo di indagati.

Dei 23 soggetti coinvolti dal primo grado di giudizio, tutti sono stati assolti in Appello e in Cassazione.

“Reventinum”

C’è un procedimento contro la mafia piuttosto recente. Il 19 dicembre 2018, il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha firmato un provvedimento di fermo di indiziato nei confronti di dodici persone e venti giorni dopo sono scattati gli arresti. Due casi riguardavano Domodossola. Uno degli indagati però è morto per cause naturali due anni dopo l’inizio del processo.

Anche a Verbania c’è stato un caso di indagine da parte dell’antimafia. É successo a luglio 2023, quando un imprenditore 53enne è stato arrestato a Roma con l’accusa di gestire un giro di smaltimento illecito di rifiuti in varie città d’Italia, tra cui anche Verbania.

“Carminius” e “Fenice” (Carmagnola)

Le operazioni “Carminius” e “Fenice” hanno accertato la presenza di ‘ndrangheta a Carmagnola. Avviata nel 2019 “Carminius” riguardava la relazione tra economia, criminalità e favori politici. Tra gli indagati spiccava il nome di Roberto Rosso, sottosegretario di due governi Berlusconi e assessore della Regione Piemonte per Fratelli d’Italia poi condannato nel 2023 a 4 anni e 4 mesi per aver promesso 15 mila euro a due affiliati affinché lo aiutassero nella campagna elettorale per le regionali del 2019. Dai filoni di indagine aperti da “Carminius” si è aperta “Fenice”, un’altra indagine che ha approfondito i rapporti clientelari tra ‘ndranghetisti e imprenditori piemontesi.

Il resoconto (aggiornato a settembre 2020, quindi senza le condanne definitive) è disponibile qui.

Ricordare le inchieste e i condannati per reati mafiosi impone anche di ricordare, soprattutto, le vittime; perciò è disponibile questo elenco per non dimenticarle.

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1 Commento

1 Commento

  1. Avatar

    IL MIO

    22 Marzo 2024 at 1:25

    E del famoso BAR dei “MORTI” a TORINO fine anni 70 (Piazza Vittorio (parte destra arrivando da pza. Castello) alla fine sotto i portici BAR che faceva angolo con il corso che fiancheggia il PO (non ricordo il nome del corso) quello era conosciuto, all’epoca come il bar dei morti per la famosa sparatoria cbe fece 3 morti nella guerra per il controllo dello spaccio di droga a Torino fra le famiglie Catanesi e le n’ndrine che cominciavano e espandersi dopo milano (epaminonda, francis Turattello ucciso poi a badu e carros (Nuoro) dal boia delle carceri Pasquale Barra braccio destro di Raffaele Cutolo o’professore” (Guerra fra NCO e vecchia cCamorra) E comunque da mo’che a Torino e Milano e il nord Italia fra i clan Catanesi, Camorristi, n’drangheta e pure qualche affiliato ai clan Palermitani (lo stesso badalamenti venne inviato a Cuneo a soggiorno obbligato, quasi mi scappa da ridere,venivano quasi invitati dalle varie procure a occuparsi del nord Italia) e Trapanesi si faceva la guerra a Torino, solo che ai tempi i bambini giocavamo a guardie e ladri con le Colt cobra cal 45 e le semiautomátiche come la Walther p38 e tante altre e a 12/13 già sapevamo come e cosa farne. Però non c’era sta cazzo di cosa chiamata internet le web cam per strada con cui i lacchè del governo abusano e fanno ciò che vogliono con telefonini e il resto. Si stava meglio quando si stava peggio

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