Meteo
Temperature primaverili sul Piemonte a superare i 25 gradi. Le ragioni di un inverno toppo caldo
E’ stato un weekend di temperature massime nuovamente primaverili sul Piemonte proprio nei giorni successivi ai tradizionali giorni della merla
E’ stato un weekend di temperature massime nuovamente primaverili sul Piemonte proprio nei giorni successivi ai tradizionali giorni della merla. I dati pubblicati sul sito della regione Piemonte parlano di massime superiori ai 20 gradi a Torino e Cuneo. Temperature piú “fredde”, ma si fa per dire Novara e Verbania, mentre l’ovest e il sud della regione hanno registrato temperature molto alte per il periodo, con punte intorno ai 25 gradi, a cui pare dovremo però abituarci per il cambiamento climatico in essere. Si tratta di temperature superiori alle medie di periodo.
Il foehn caldo ha portato temperature quasi estive nella valli di montagna come la Valle Susa. Conseguenza primaria di queste temperature primaverili è lo scioglimento della neve sulle nostre montagne con importanti difficoltà per il turismo.
Il metereologo Daniele Cat Berro della Società Meteorologica Italiana racconta scientificamente la situazione
Sappiamo che anche in passato capitavano episodi di foehn caldo in Val di Susa e non solo. A Susa, grazie alla stazione meteorologica ufficiale Arpa Piemonte, sono disponibili dati dal dicembre 1990. In 34 anni di misure la frequenza dei giorni con temperatura massima >= 20 °C nel trimestre dicembre-febbraio è aumentata, e non se ne erano mai rilevati tanti come in questo inverno (7, e il trimestre non è finito), come ben visibile nel grafico. Aggiungo che il 25 gennaio 2024 Susa ha rilevato la sua temperatura più elevata per questo mese nella serie dal 1990, con 25,0 °C. Ancora riguardo al “normalissimo”, aggiungo che una temperatura come quella rilevata oggi a Susa (23,3 °C) corrisponde al 99,8° percentile della distribuzione statistica invernale (periodo 1990-2024), ovvero si verifica nello 0,2% delle giornate invernali (dic-gen-feb), ovvero ancora un caso ogni 500 giorni invernali, ed è pertanto definibile come evento “raro” o “estremo”. Peccato che, nella “nuova” distribuzione statistica di un clima in rapidissimo cambiamento, eventi di questo tipo stiano diventando – ahinoi – sempre più frequenti.
Proprio della situazione in montagna parla un articolo dello Scarpone giornale del CAI che ha intervistato il metereologo Andrea Vuolo
Nel corso di mercoledì 24 e giovedì 25 gennaio 2024 le Alpi Occidentali sono state colpite da un’ondata di caldo anomalo che ha fatto registrare temperature record a quote medio alte con lo zero termico segnalato a oltre 3900 metri sul livello del mare. Una situazione estrema, nel corso di un inverno complessivamente mite e avaro di precipitazioni nevose che solleva interrogativi e preoccupazione di fronte a una crisi climatica sempre più evidente.
Questa anomalia si è percepita maggiormente in montagna, rispetto alla pianura e alle città dove le temperature non hanno registrato picchi così estremi. Perché?
«È l’effetto della cosiddetta inversione termica che, nei mesi invernali con poche ore di sole, provoca il ristagno di aria fredda e umida alle basse quote, indicativamente nei primi 300 metri dell’atmosfera. La mattina di giovedì 25 gennaio si sono registrate temperature minime fino ai -5° sui fondovalle collinari dell’astigiano e di +16/18° tra Susa e Bussoleno dove i venti di foehn hanno ulteriormente scaldato l’aria. Curiosa la situazione sulla collina di Torino: alle ore 7.50 si registravano contemporaneamente -1° a Moncalieri e, a pochi chilometri di distanza, +15° a Pino Torinese. Il passaggio repentino tra la circolazione fredda e l’anticiclone caldo ha provocato condizioni quasi estive in montagna, mentre in pianura la sensazione e le misurazioni non hanno delineato un quadro così estremo».
Cosa sta provocando inverni così miti e poco nevosi che si susseguono da qualche anno?
«In generale possiamo affermare che negli ultimi 3 o 4 inverni l’Europa occidentale è stata dominata da un promontorio sub tropicale che ha mantenuto temperature mediamente elevate e precipitazioni scarse. L’ipotesi più accreditata vuole che questo tipo di condizioni siano favorite dal riscaldamento globale che fornisce maggiore energia alle masse d’aria la cui elevatissima pressione viene scalfita con maggiore difficoltà dalle perturbazioni. In questo contesto sembra anche che El niño, il fenomeno di periodico riscaldamento dell’Oceano Pacifico sud orientale, abbia delle conseguenze anche sull’evaporazione dell’Oceano Atlantico e quindi sulle condizioni climatiche dei nostri territori».
Dobbiamo aspettarci che questo trend segnerà le condizioni climatiche dei prossimi anni portando a inverni ulteriormente miti e secchi?
«Non sono catastrofista per natura, ma credo di no anche perché le oscillazioni fanno parte della nostra storia. Pensiamo, per esempio, agli inverni tra il 1988 e il 1990 caratterizzati da una generale scarsità di neve che seguirono un triennio di nevicate da record, in particolare quelle dell’85 e dell’86. Allo stesso modo, i mesi in corso stanno registrando precipitazioni piuttosto eccezionali sul versante settentrionale delle Alpi. Detto questo, il riscaldamento globale c’è e sta provocando una generalizzata estremizzazione dei fenomeni, come abbiamo osservato in questi giorni».
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