Cittadini
Capodanno: alla scoperta delle tradizioni piemontesi
Tra superstizioni e usanze, ieri e oggi
TORINO – Da sempre le feste, i riti e le ricorrenze hanno segnato lo scandire del ciclo dell’anno. Nelle campagne piemontesi il periodo del Natale e del Capodanno era particolarmente importante perché, come ricordava l’antropologo Gian Luigi Bravo, quello era il tempo dei pronostici. Quando non si avevano ancora a disposizione le previsioni del tempo, in quei giorni dell’anno si provava ad immaginare l’andamento meteorologico dell’annata a venire. Una credenza, tramandata di generazione in generazione, era quella dei «dodici giorni». Secondo la tradizione occorreva osservare con cura la situazione climatica dei dodici giorni successivi al Natale, perché ogni giornata sarebbe stata il modello degli eventi climatici del mese corrispondente. A Mongardino (un comune in provincia di Asti) vi erano delle donne che in quei dodici giorni segnavano l’evoluzione del tempo di ogni singola ora, nella speranza di prevedere l’andamento meteorologico giornaliero dell’intero anno.
Un’altra tradizione diffusa era quella del «ceppo di Natale». Secondo l’usanza nella Vigilia di Natale il più anziano della famiglia si recava nella legnaia per scegliere il ceppo più grosso, lo ungeva e lo metteva ad ardere nel focolare. La lunga durata del ceppo ardente era un buon auspicio per tutta la famiglia e per la casa. Si credeva che il ceppo portasse fortuna e per questo i tizzoni avanzati venivano conservati tutto l’anno ed esposti all’aperto quando il cielo minacciava grandine o un dannoso temporale estivo.
In Piemonte esiste anche una lunga storia di sacre rappresentazioni della natività che si collocano nella tradizione italiana ed europea del teatro pastorale e natalizio. Tra queste c’è il «Gelindo», un racconto popolare in dialetto piemontese già diffuso tra il Seicento e il Settecento, che narra le vicende di uno dei pastori recatosi in adorazione del Bambino Gesù. Una rappresentazione che aveva attratto la curiosità anche di Antonio Gramsci che nel 1915 scriveva: «La popolare creazione piemontese è riapparsa nella sua ingenuità bonaria che emana dalla sanità spirituale e dall’incrollabile ottimismo del paesano».
Una tradizione che non è scomparsa. Ad Alessandria, nel Teatro San Francesco, il «Gelindo “dei frati”» va in scena ininterrottamente da novantotto anni grazie all’impegno di un’associazione di volontari. Un vero rito natalizio per gli alessandrini che non è stato sospeso neanche durante le guerre. All’antica sceneggiatura viene ogni anno aggiunta la businà, un monologo che Gelindo fa ad inizio spettacolo in cui, con sguardo ironico, mette insieme i principali fatti accaduti in città durante l’anno. C’è poi la lunga storia dei presepi. Un tempo nelle case contadine si realizzavano dei presepi semplici con figurine di cartone inserite in un paesaggio realizzato con pietre e muschio, ma poi la situazione è cambiata. Esistono in Piemonte dei presepi spettacolari come il Presepe Gigante di Marchetto, visitabile fino all’8 gennaio, che da 35 anni viene allestito a Mosso (Biella). È uno dei presepi più grandi d’Italia, duecento figure a grandezza naturale che vengono posizionate negli angoli più suggestivi del paese. Le statue sono state realizzate negli anni Ottanta da un artigiano con i pezzi dei telai in legno dismessi dall’industria tessile biellese. Le figure mobili riproducono la vita contadina e gli antichi mestieri. Il presepe diviene così un grande museo etnografico a cielo aperto che ricostruisce gli ambienti e tiene viva la memoria popolare. Sempre nel biellese, a Crosa, da quarantacinque anni va in scena un presepe vivente interpretato dagli abitanti del piccolo paese. Il corteo, che prende il via alle 20.
Superstizioni…
Nessuno ci crede, eppure la maggior parte di noi tende a seguire determinate superstizioni per accogliere al meglio il Capodanno. In Piemonte ad esempio, nelle zone di campagna, era tradizione accendere dei grandi falò per bruciare simbolicamente le disgrazie e le negatività dell’anno passato.
Un’altra tradizione riguardava anche le “streine“: pupazzi di pane che propiziavano abbondanza per il nuovo anno, dati in dono ai bambini.
Inoltre si pensava che la mattina di capodanno, portasse fortuna incontrare una persona del sesso opposto e che fosse necessario specchiarsi appena svegli.
Al contrario, portava sfortuna incontrare un prete, una suora, un vecchio o un gobbo.
Ci sono infinite tradizioni porta fortuna che sono sopravvissute fino ai giorni d’oggi. La più comune è un bel piatto di lenticchie. Per propiziarsi un anno ricco, la notte di Capodanno è bene mangiare lenticchie e 12 acini di uva nera o datteri.
A proposito di cibo, il bollito accompagnato dalle salse, è sicuramente il piatto della tradizione che fa da protagonista al cenone di Capodanno. Le salse per accompagnare la carne devono essere sette e tra queste non può mancare la salsa verde.
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Terin
30 Dicembre 2023 at 8:29
Le lenticchie e gli acini d’uva o datteri a Capodanno non sono tradizioni piemontesi, ma piuttosto del Mediterraneo (Italia peninsulare e Spagna mediterranea in particolare).