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Cultura

Saluteremo il signor padrone, intervista con Stefano Valerio

Cosa succederebbe se 20 milioni di lavoratori italiani si dimettessero in una notte?

Gabriele Farina

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Torino – Cosa succederebbe se tutti i dipendenti delle aziende italiane, pubbliche e private, si dimettessero in un colpo solo, nella stessa notte? E’ questo l’interessante e inquietante assunto di partenza da cui prende il via Saluteremo il signor padrone, romanzo d’esordio di Stefano Valerio, Buendia Books, che apre scenari fantapolitici interessanti.

La vicenda si muove tra Torino e Roma ed è una sorta di favola sociale in cui il fantastico si fonde con l’ideologia e la progettualità, riportandoci a situazioni storiche fallite nel passato ma aggiornandole con le possibilità e le tecnologie attuali (o qualche passo più in là delle attuali). Credo che l’autore avrebbe potuto scrivere un saggio politico-sociale ma ha preferito trasformarlo in un racconto che tocca diversi temi pur essendo incentrato naturalmente sul mondo del lavoro, sulla deriva che questo ha preso nel ‘900 e sull’organizzazione della società.

Lo sviluppo della trama è interessante e avvincente, i personaggi hanno dei nomi che ci riportano alle commedie italiane dell’epoca d’oro, ma quel che conta sono le riflessioni, le idee, le considerazioni. Azioni e reazioni, una partita a scacchi tra lavoratori, industriali, politici, sindacalisti, militari e gente comune. Con un eroe rivoluzionario che ha un nome arabo, arriva da Londra e risolve la situazione sociale in Italia, praticamente il simbolo della società globalizzata attuale, che però è pronto a ribaltare proprio le fondamenta di quella società.

Stefano Valerio, hai raccontato una storia che non si era mai vista. Da dove nasce questa idea?

L’idea nasce dall’osservazione di una serie di tendenze che sembra si stiano manifestando nella realtà. Nel corso degli ultimi anni, in Italia, è aumentato sempre di più il numero di persone che hanno deciso di dimettersi dal proprio lavoro. E non si tratta soltanto di persone in un certo senso “privilegiate”, che potrebbero vivere anche senza lavorare. Anzi. Si tratta spesso di persone che non riescono più a reggere i ritmi di un lavoro che richiede sempre più impegno mentre, però, come certifica tutta una serie di dati, gli stipendi crollano. Ecco, a partire da qui, ho semplicemente immaginato che per un’assurda coincidenza tutte le persone si dimettano dal proprio lavoro nello stesso identico giorno, generando una serie di effetti a cascata in un certo senso imprevedibili.

“Saluteremo il signor padrone” è un titolo splendido, che ci riporta a lotte sociali lontane nel tempo e ancor più nella memoria. Come è nato?

In questo caso sono costretto a svelare un piccolo retroscena. Quando ho inviato il manoscritto a Buendia Books, la casa editrice che ha pubblicato il libro, la mia proposta di titolo era semplicemente “Favola sociale”. L’idea di intitolare il libro “Saluteremo il signor padrone”, lasciando invece “favola sociale” come sottotitolo, è venuta a Francesca Mogavero, figura chiave della casa editrice. Devo dire che questa sua proposta mi ha subito convinto: è vero che è un titolo che rimanda a lotte sociali del passato, ma al tempo stesso va notato che contiene un verbo al futuro. Ed è al futuro che in qualche modo il libro prova anche a guardare.

Secondo te hai scritto un romanzo di fantapolitica, fantasocietà o un’ipotesi di un futuro effettivamente realizzabile?

Francamente non saprei rispondere in modo netto. Effettivamente è un romanzo in qualche modo di “fantascienza sociale”. Ma, come ricordava la grande scrittrice Ursula Le Guin in una vecchia polemica sulla fantascienza, alla fine non dobbiamo troppo attaccarci alle etichette, forse. La letteratura è letteratura. In ogni caso, come dice a un certo punto uno dei personaggi del libro, l’ipotesi di futuro di cui parlano gli ultimi capitoli forse non è effettivamente realizzabile nel contesto sociale e politico in cui viviamo. Per renderla concreta, servirebbe qualcosa di diverso, una sorta di slancio creativo e di fantasia, proprio come quello compiuto dal personaggio di nome Farouk.

Quello che mi colpisce è l’aggiornamento di una filosofia sociale che nei decenni passati ha fallito la sua applicazione, aggiornata che la tecnologia odierna. E’ questo il punto?

La questione è proprio quella che hai tratteggiato nella tua domanda. Se con l’espressione “filosofia sociale” ti riferisci al comunismo, allora dobbiamo provare ad essere abbastanza netti e dire chiaramente che il cosiddetto “socialismo reale” che abbiamo conosciuto nel ventesimo secolo è stato un enorme equivoco giocato sulla pelle della stessa utilizzabilità della parola “comunismo”. Il comunismo non dovrebbe essere esaltazione del lavoro, dello sforzo stacanovistico. Al contrario, il comunismo è liberazione dalla necessità di lavorare attraverso lo sviluppo delle tecnologie. A dirlo non sono soltanto io, ma un intero secolo di letture in un certo senso “eretiche” dell’opera di Marx che hanno accomunato numerosissimi autori e autrici. D’altronde, lo diceva lo stesso Marx: invece del motto conservatore “un giusto salario per una giusta giornata di lavoro”, il movimento operaio dovrebbe scrivere sulle proprie bandiere “abolizione del sistema del lavoro salariato”. E come si ottiene questo? Appunto, con il progresso tecnico-scientifico. In qualche modo il libro vuole anche stimolare una riflessione critica su tutta una serie di cose che consideriamo naturali e scontate e che invece non lo sono affatto: perché lavoriamo ancora otto ore al giorno quando la produttività del lavoro, proprio grazie alle macchine, è aumentata di molto negli ultimi decenni? Non si potrebbe invece lavorare meno ore, a parità di stipendio, dedicando così il resto del tempo ad altro, come la cura degli affetti, gli interessi culturali, la socialità, ecc?

Lavoratori, industriali, politici, sindacalisti, militari, ingegneri… chi sono i protagonisti di questa storia?

Mi piace pensare che in questa storia i protagonisti non siano tanto i singoli individui, quanto invece le classi sociali a cui i singoli personaggi appartengono. Si tratta di una storia sociale e collettiva per sua stessa natura, in cui certamente gli individui con le loro azioni giocano un ruolo fondamentale, che però va inscritto nel più ampio quadro in cui essi stessi si muovono.

Anche le immagini interne del libro e la copertina hanno una genesi particolare, vero?

Certamente. Anche in questo caso c’è stato lo zampino di Francesca Mogavero e di Buendia Books, che in linea con i temi della storia hanno deciso di ricorrere a tecnologie di intelligenza artificiale per alcune delle illustrazioni presenti nel libro e per la stessa copertina. Sono illustrazioni per l’appunto automatizzate, eccetto l’ultimo disegno che si trova nell’opera, realizzato dall’artista Sara Ciccardi, a indicare che in un futuro in cui le tecnologie producono tutto quanto è necessario per vivere ci si può dedicare maggiormente alla sfera della produzione artistica e culturale.

Che strada ti piacerebbe prendesse questo libro? Chi vorresti lo leggesse?

Mi piacerebbe che il libro fosse letto proprio da chi, ancora oggi, ha bisogno di lavorare per vivere, in particolare da tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori che soprattutto durante la pandemia si sono rivelati essenziali per la riproduzione stessa della società, pur venendo pagati poco e lavorando in condizioni spesso difficili dal punto di vista dell’equilibrio psico-fisico, degli orari, dei ritmi, degli stipendi stessi.

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