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Cultura

Chi ne fa le veci, intervista con Rossella Manna

Un bambino del sud viene affidato ad una famiglia del nord nel dopo Guerra

Gabriele Farina

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Torino – Insegnante torinese, Rossella Manna esordisce con un interessante romanzo dato alle stampe per echos edizioni che ci racconta un aspetto del dopoguerra italiano non certo tra i più noti e raccontati. In Chi ne fa le veci si parla di bambini del sud Italia dati in affido a famiglie del nord in sostanza per sopravvivere.

La situazione in Italia, come è noto, dopo la Seconda Guerra Mondiale è drammatica. Al sud più ancora che al nord il Paese è da ricostruire. Per diminuire la mortalità infantile e sgravare le famiglie dal peso di dover sfamare una gran quantità di figli, viene attivato un programma che prevede l’affidamento di bambini a famiglie benestanti e disponibili del nord Italia per periodi più o meno lunghi.

Alberto, il protagonista di questo libro, parte da Napoli, dove la madre vedova cerca di sopravvivere come può in un “basso” con quattro figli, per arrivare a Bologna, dove lo attende una famiglia nuova ed in condizioni economiche totalmente diverse. Alberto scopre l’acqua corrente, la mortadella, un letto vero, un bagno con lo sciacquone, la scuola, la bicicletta e soprattutto l’affetto di un padre che gli era totalmente mancato. Al momento di tornare a Napoli il mondo gli crolla addosso e l’avventura del bambino non sarà finita lì.

Rosella Manna, da dove nasce questa storia e perchè hai deciso di raccontarla?

La storia di CHI NE FA LE VECI è realmente accaduta: racconta l’infanzia di mio zio Alberto. Conoscevo la vicenda da diversi anni, ma una sera di qualche anno fa io e mio zio ne parlammo a lungo, in maniera più approfondita, e rimasi colpita dalla grande umanità del personaggio di Attilio, padre affidatario. La questione della genitorialità non biologica mi tocca in maniera particolare, oltre ad essere un argomento di scottante attualità. Inoltre, mi piaceva l’idea di raccontare una storia di solidarietà ed accoglienza che prescinde da ideologie politiche e confini territoriali (in un periodo storico in cui esisteva un razzismo anche su base regionale) Così ho pensato di cogliere l’occasione per realizzare due desideri: quello di mio zio, dando voce al ricordo di una storia che l’ha profondamente segnato per il resto della vita, e il mio, quello di scrivere un romanzo.

L’affido dei bambini del sud a famiglie del nord è una fetta del dopo Guerra italiano non molto nota. Cosa puoi raccontarci sul tema?

Esiste poca letteratura in merito, forse perché si tende a dare maggiore spazio alla cronaca delle grandi tragedie. Le conseguenze della guerra in Italia sono state devastanti, e la ripresa lenta per tutti, ma il Meridione ha dovuto fare i conti con una povertà inimmaginabile per noi: la mortalità infantile era altissima, causata dalla denutrizione e dalle condizioni igieniche precarie per mancanza di fognature e di acqua corrente. La vita dei bambini che riuscivano a sopravvivere era comunque caratterizzata dalla mancata scolarizzazione e dallo sfruttamento nel lavoro minorile, spesso con attività illegali come il contrabbando. In questo contesto si pone l’iniziativa del Partito Comunista Italiano, coadiuvato dalla Croce Rossa Italiana, di raccogliere gli orfani di guerra nelle zone più degradate della periferia di Napoli e nelle Murge, e inviarli presso famiglie ospitanti dell’Emilia Romagna e delle Marche. Qui i bambini trascorrevano un periodo di sei mesi durante i quali avrebbero potuto essere degnamente nutriti e curati, scongiurando il pericolo di morte precoce. Tengo a sottolineare che le famiglie ospitanti non erano necessariamente militanti del Partito, bensì famiglie, spesso nemmeno particolarmente benestanti, che si offrivano volontariamente per ospitare bambini, magari anche solo perché disponevano di una stanza in più.

Il mondo che Alberto incontra a Bologna è totalmente diverso da quello che ha sempre conosciuto. Cosa trova in Emilia?

A Bologna Alberto trova un mondo di cui alla sua età non poteva nemmeno sospettare l’esistenza: una casa vera, dotata di acqua corrente e di servizi; un letto per ogni componente della famiglia, pasti abbondanti a pranzo e a cena, cibi mai visti come la mortadella o i tortellini. Vestiti caldi, scarpe nuove, una stanza, dei giocattoli tutti per lui. Ma soprattutto, Alberto trova le premure e le dimostrazioni d’affetto che la sua famiglia vera non era in grado di offrirgli, poiché la lotta alla sopravvivenza inaridisce i sentimenti e stabilisce un duro ordine di priorità.

E così, quando deve tornare a Napoli, il contraccolpo è terribile…

Naturalmente Alberto ignora i motivi per cui deve abbandonare la famiglia adottiva e il mondo di agio e spensieratezza che aveva trovato a Bologna. Il bambino non ricorda nemmeno il luogo da dove proviene, e possiede oramai un ricordo sbiadito della sua famiglia d’origine. Così rimane deluso e arrabbiato perché si sente rifiutato, convinto che la decisione sia stata presa dalla famiglia affidataria a causa del suo carattere forse troppo vivace ed esuberante. Rimarrà molti anni con questo dubbio e col senso di colpa di non essersi comportato bene, causando l’allontanamento. Al suo rientro Alberto ripiomba nella miseria: le condizioni della famiglia di origine non erano granché migliorate negli anni della sua assenza. Presto smetterà di andare a scuola e ritornerà ad essere un bambino come molti suoi coetanei, precocemente avviato al lavoro e alla gestione delle problematiche familiari.

Nel racconto del protagonista non si legge mai un’accusa nei confronti della madre, sebbene il comportamento della donna potrebbe sembrare egoistico al lettore. E’ la visione del figlio, la sua consapevolezza?

La figura della mamma di Alberto è forse la più complessa. Apparentemente anaffettiva, prende delle decisioni che invece dimostrano un grande attaccamento nei confronti dei figli. Il suo comportamento può essere letto da più punti di vista: può apparire egoistico, perché sia ad Alberto sia a Valeria ha volontariamente negato un futuro certamente migliore. Per contro, si può affermare che abbia agito per sentimento materno, riprendendosi i figli e decidendo di crescerli nonostante la fatica e privazioni. Nel romanzo ho sospeso il giudizio, e anche nella vita privata, poiché a nessuno, nemmeno al protagonista, sono mai state ben chiare le reali motivazioni del suo gesto.

Quello che abbiamo di fronte è un romanzo di rapporti e sentimenti o più una ricostruzione di un momento storico del Paese?

Gli eventi storici fanno solo da sfondo a quella che ritengo una bellissima storia d’amore.

Chi ti piacerebbe leggesse questo libro?

Questo romanzo è adatto a chiunque: è una storia nella quale molti anziani possono riconoscere pezzi della propria vita, molti genitori affidatari o adottivi possono riconoscere i sentimenti che li hanno mossi; ma soprattutto, sarebbe adatto a coloro che pensano che la biologia abbia necessariamente a che fare con la genitorialità.

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