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Cultura

L’ufficiale in bicicletta, intervista con Bruna Bertolo

Lucia Boetto Testori fu staffetta partigiana e medaglia al valore

Gabriele Farina

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Lucia Boetto Testori fu staffetta partigiana e medaglia al valore. La sua storia è raccontata ne L’ufficiale in bicicletta, Neos Edizioni, scritto da Bruna Bertolo e Ornella Testori. Bertolo è una storica attenta e capace di raccontare con passione e mantenendo l’attenzione del lettore. Testori è la figlia di Lucia Boetto ed è quindi in grado di restituire un ritratto più intimo e vicino.

Lucia Boetto visse la Resistenza da protagonista, tra le Langhe e Torino, partecipando (spesso in solitaria) ad una lunga serie di azioni fonamentali, pur senza mai sparare un colpo di pistola. Il suo ruolo era un’altro e potete approfondirlo leggendo la recensione completa del libro.

Bruna Bertolo, perchè raccontare la storia di Lucia Boetto?

Credo sia importante, per non perdere la “memoria”, che microstorie significative legate a momenti particolari della nostra macrostoria, vengano raccontate. E questa è davvero una storia personale molto particolare che mette in risalto il grande coraggio e la determinazione femminile. Da tempo, come tu sai, io scrivo libri ripercorrendo periodi del nostro passato, di quello più lontano, ma anche di quello più recente, mettendo in risalto il ruolo femminile, spesso trascurato e in certi casi addirittura ignorato. Non potevo restare indifferente al carisma di Lucia Boetto Testori di cui avevo già scritto in un mio precedente volume dedicato alle donne della Resistenza in Piemonte, ma senza approfondire la sua personalità.

Che personaggio è Lucia? Puoi tratteggiarcelo?

Prendo in prestito, per tratteggiare la figura di Lucia, le parole con le quali la descrive, nella Prefazione, Luciano Boccalatte che di lei dice: “Lucia è stata una delle nostre grandi testimoni, ha narrato la sua esperienza resistenziale senza indulgere alla retorica, con apparente semplicità come è proprio di chi ha conosciuto rischi e pericoli della lotta di resistenza, il valore della propria azione e, come i partigiani “veri” e gli autentici combattenti con o senza armi, ci ha fatto comprendere il senso di un dovere che si doveva compiere, senza autocelebrazioni”. Ecco, Lucia, riconosciuta Partigiana Combattente e Ispettrice delle Truppe, equiparata a Maggiore, si riconosce in queste parole di Boccalatte: una donna che ha saputo agire durante la Resistenza e che ha saputo testimoniare, per tutta la vita, senza autocelebrarsi.

Come sei entrata in contatto con Ornella Testori?

La proposta di scrivere questo libro, con la figlia di Lucia, Ornella, mi è giunta da Silvia Ramasso, editore Neos, con la quale esiste un bel rapporto di collaborazione, sfociato in altri libri, e di amicizia sincera. E’ lei che mi ha messo in contatto con Ornella, per lavorare su un progetto dunque condiviso.

Come avete lavorato alla realizzazione del libro?

In realtà, ci sono due parti direi chiaramente distinte nel libro, due parti che sono il risultato di un lavoro individuale, due parti collegate tra di loro da un’ampia galleria fotografica in gran parte proveniente dall’Archivio di famiglia Boetto/Testori, e completata da altre immagini/documenti provenienti dall’Archivio di Istoreto.
La prima parte è quella firmata da me, la seconda firmata da Ornella Testori che vivacizza il racconto anche con i suoi personali ricordi. Ho cercato di raccontare la storia personale di Lucia, legata a quella del marito Renato Testori, inserendola ovviamente nel contesto della Storia generale di quei 20 mesi di lotta resistenziale, ma facendolo attraverso una forma “lieve”, quasi come il dipanarsi di un racconto romanzato che però di fantasioso non ha niente. La vita di Lucia in un contesto fatto di immagini, di emozioni, di azioni certo… ma che dimostrano soprattutto la sua indomabile affermazione di autonomia, di coraggio, di sfida… che è parte essenziale del ruolo delle donne nella Resistenza, per tanto tempo anche taciuta. Anche nella parte storica, la vita di Lucia raccontata quasi come un romanzo, ma di vita vera.

Questa storia si snoda quasi completamente tra le Langhe e Torino. Due luoghi fondamentali per la Resistenza…

Due luoghi fondamentali e la figura di Lucia Boetto, proprio per il ruolo ricoperto, riesce in un certo senso a fare da collegamento… lei si muove tra le montagne del Cuneese e il Torinese portando documenti, soldi, articoli di giornale, accompagnando persone, correndo rischi incredibili, senza far mai pesare sugli altri le sue ansie. Il suo impegno partì infatti nei giorni successivi all’8 settembre 1943, la data dell’armistizio, proprio lì, nella zona del Cuneese, che visse in modo drammatico la disfatta della IV Armata comandata dal generale Vercellino. Non si tirò mai indietro Lucia, agendo in tanti modi diversi.

Tante e fondamentali le imprese di Lucia Boetto. Quale ti ha colpito maggiormente?

Davvero tante e inimmaginabili. Voglio ricordare due episodi citati anche da Nino Boeti, presidente provinciale dell’Anpi, nella sua Introduzione. Due tra i tanti memorabili episodi di cui fu protagonista. Sottolinea Boeti: “Fu straordinaria nel trasporto dell’esplosivo, il plastico, necessario per distruggere i binari di collegamento dei treni con la Germania. Sulla bicicletta, unica “arma” delle staffette partigiane, attraversando i posti di blocco dei nazisti, con il plastico infilato sotto la maglia. Una caduta e sarebbe stata la fine. Fu eroica quando portò dalle Langhe a Torino la Bandiera del Corpo dei Volontari della Libertà donata dalle donne dell’Italia già libera. Era stata portata dal sottosegretario Medici Tornaquinci, accompagnato da Lucia a Torino per i suoi incontri con il CLN. Quella bandiera aprì la sfilata del 6 maggio 1945 quando venti mila partigiani, dopo la liberazione, attraversarono le strade della città di Torino. La portava Vincenzo Modica, detto “Petralia”, partigiano siciliano, uno dei 6 mila meridionali che scelsero di combattere per il proprio Paese”.

Poi però c’è un finale in qualche modo triste. Lucia Boetto non era a Torino il 25 aprile 1945. Come mai?

Non partecipò che in minima parte alla fase finale dell’insurrezione. Renato, il fidanzato, anche lui coinvolto nella Resistenza, non la chiamò quando arrivò l’ordine di marciare su Torino. Lei rimase a casa, ad accudire la mamma, ferita ad una gamba da una scheggia di mortaio. Un mese dopo, il 26 maggio 1945, Lucia e Renato si sposarono: accanto a loro gli amici e i compagni di lotta. Iniziava un periodo nuovo… ma entrambi avevano lottato e creduto nella Libertà e nella Democrazia!

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