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PoliTO e l’Università di Notre Dame conducono uno studio circa l’impatto dei flussi di rifugiati sulle risorse idriche degli Stati ospitanti

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Tra il 2005 e il 2016, il numero di rifugiati a livello globale è quasi raddoppiato, passando da 12,1 a 23,1 milioni di persone, spesso sfollate in Paesi caratterizzati dalla presenza di zone aride e semi-aride e da pesanti condizioni di scarsità idrica.

Fino ad oggi, non era chiaro quale fosse l’entità della pressione dei rifugiati, soprattutto in merito alla domanda di cibo, sui Paesi ospitanti. Per rispondere a tale domanda  e fornire un quadro attendibile supportato da dati oggettivi, Marta Tuninetti del Politecnico di Torino – DIATI (WatertoFood Lab) e i ricercatori del Laboratory for Coupled Human Water System della University of Notre Dame, hanno sviluppato un’analisi innovativa che quantifica le implicazioni dei flussi migratori per le risorse idriche e le possibili soluzioni per preservarle.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su un articolo del Nature Communications, dove è possibile leggere che l’aumento della domanda di acqua si è concentrato principalmente in Pakistan, Iran, Turchia, Libano e Giordania: tutte zone caratterizzate, già di per sé, da alti livelli di scarsità d’acqua e nelle quali i movimenti dei rifugiati hanno contribuito pesantemente all’aumento dello stress idrico associato ad un maggior consumo di cibo.
Come spiegato da Marta Tuninetti, questi Paesi devono essere monitorati con particolare attenzione: la produzione alimentare in essi è infatti quasi esclusivamente affidata alle risorse idriche locali, le cui condizioni potrebbero vedersi ulteriormente aggravate dai flussi di rifugiati.

I risultati dello studio forniscono dunque un quadro esaustivo circa le implicazioni della migrazione per le risorse idriche e offrono un supporto in grado di orientare ed ottimizzare le politiche di asilo e reinsediamento rifugiati sviluppate da UNHCR (UN Refugee Agency). In questo caso specifico, il commercio globale potrebbe diventare uno strumento utile per alleviare il potenziale stress idrico cui alcuni Paesi sono sottoposti quando sono oggetto di importanti flussi di rifugiati, e per ridurre al tempo stesso la vulnerabilità a crisi idriche dei sistemi alimentari locali.

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