Cultura
Il Gruppo Futurista di Torino compie 100 anni
Il 5 marzo 1923 era un lunedì. Tre giovani artisti squattrinati, poco più che ventenni – il torinese Ugo Pozzo, il pisano Tullio Alpinolo Bracci e il cuneese di Revello Luigi Colombo (detto “Fillia”) – incoraggiati dal successo di alcune mostre degli anni precedenti, si ritrovano con un manipolo di amici, operai e flâneur in Via Sacchi 54, vicino alla Stazione ferroviaria di Porta Nuova, per dare vita al “Gruppo Futurista di Torino”, quello che diventerà, negli anni ’20 e ’30 del Novecento, una delle ali più attive, in Italia e all’estero, dell’avanguardia animata da Filippo Tommaso Marinetti.
“In casa Fillia […] sede provvisoria del Gruppo, ci riunimmo […] per l’elezione del direttivo. Venimmo acclamati membri del Direttorio, in ordine: Bracci, Fillia, Pozzo”, scrive Ugo Pozzo nella memoria del 1963 “Fondazione e Affermazione del Gruppo Futurista di Torino”, ricordando le successive battaglie che portano questi giovani artisti a imporsi sulla scena nazionale e internazionale e a conquistare, insieme a “veterani” del primo Futurismo come Giacomo Balla, le più prestigiose sale espositive dell’epoca, dalla Promotrice delle Belle Arti fino alla Biennale di Venezia, passando per Milano, Roma, Napoli, Palermo e Parigi.
Al Gruppo aderiscono presto altri artisti e architetti oggi divenuti nomi storici nel panorama del “secondo futurismo” italiano, come il razionalista Alberto Sartoris, l’architetto di origine bulgara Nicolaj Diulgheroff, Farfa, Mino Rosso, Pippo Oriani e molti altri.
La loro missione è mettere in atto quella “ricostruzione futurista dell’Universo” teorizzata nel 1915 da Balla e Depero, ovvero trasformare non solo le arti, ma anche ogni ambito della vita quotidiana in un’opera d’arte totale. È così che i futuristi torinesi si dedicano non solo alla pittura e alla scultura, ma alla moda, al design, al cinema, agli allestimenti e arredi, alla produzione di giocattoli, alla grafica pubblicitaria e contribuiscono alla “rivoluzione culinaria” della Taverna del Santopalato, il primo ristorante futurista d’Italia, in Via Vanchiglia 2, inaugurato da Marinetti l’8 marzo del 1931, in un tripudio di portate dai nomi improbabili e “polibibite” inventate per l’occasione dai futuristi torinesi.
Una stagione esplosiva dal punto di vista creativo, turbata dalla prematura scomparsa a soli 32 anni – nel 1936 – di Fillia, che designerà l’amico Pozzo alla conduzione del Gruppo, mentre Bracci tornerà definitivamente nella sua Toscana, a Firenze, per dedicarsi all’attività di romanziere per l’editrice Bataclan, con lo pseudonimo Kiribiri (forse ispirato all’omonima casa aeronautica e automobilistica torinese).
Il riconoscimento dei meriti culturali ed artistici di questo gruppo di innovatori e avanguardisti non fu immediato né omogeneo nel secondo dopoguerra e fu pesantemente influenzato da alcuni errori storiografici e da una fase di “oblio” che durò fino agli anni Ottanta, quando la storica esposizione veneziana “Futurismo & Futurismi”, a Palazzo Grassi nel 1986, invertì la tendenza aprendo le porte ad un lento ma costante recupero di alcuni nomi ingiustamente “dimenticati” dalla critica d’arte precedente. Negli ultimi anni opere di Pozzo (che Marinetti definì “un ingegnoso mondializzatore di Torino”) e Fillia sono state esposte al Guggenheim Museum di New York e Bilbao e sono ora in partenza per la mostra “Futurisme & Europe” al Museo Kröller-Müller in Olanda, mentre una “Aeropittura di Piazza” di Pozzo del 1926 è stata acquisita nel 2020 dal Centre Pompidou di Parigi per una cifra superiore ai 100.000 euro.
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