Cronaca
Agente penitenziario scrive al ministro Nordio: la situazione nelle nostre carceri non è più accettabile
Riceviamo e pubblichiamo la lettera che un agente penitenziario ha inviato al ministro della Giustizia Nordio per denunciare la situazione dei carceri italiani. L’agente lavora nel carcere di Sulmona ma abbiamo deciso di pubblicarla ugualmente perchè sappiamo bene che la situazione negli istitui penitenziari del Piemonte è tra le più difficili in Italia. La lettera risulta quindi estremamente significativa anche per il terriorio che ci compete.
Egregio Ministro!
Chi Le scrive è un sindacalista che svolge si il suo ruolo di rappresentante dei lavoratori da circa 27 anni e lo ha fatto e tutt’ora lo sta facendo utilizzando molto del suo tempo libero per renderlo praticabile.
Deve sapere che prim’ancora di essere una persona dedita alla salvaguardia del diritto dei miei Poliziotti Penitenziari a vivere dignitosamente il lavoro sono anche io uno di loro, indosso la loro stessa uniforme e condivido i loro atavici problemi.
Ho iniziato a conoscere il mondo carcerario nel lontano 20 Novembre 1996 e l’ho fatto aprendo e chiudendo cancelli e, così come si conviene per un basco blu rispettoso del comma 2, art. 5 della legge 395 del 1990, contribuendo al processo rieducativo del condannato.
Nel corso del tempo sono riuscito a trasformare quello che per molti rappresentava uno tra i lavori più duri in assoluto, non fosse altro che per la risaputa caratteristica che ha di distruggerti piano piano dal punto di vista psicologico, in una appassionata professione.
Negli ultimi anni, però, questa passione si è via, via andata incrinando.
Non so se per l’eccessivo numero di anni passati in carcere (per quasi trent’anni anni e al netto di poche decine di giorni di malattia) o per il mutamento normativo che in tre decenni si è andato producendo.
Fatto sta che oggi non mi sento di essere più il Mauro di una volta. Quel poliziotto penitenziario, cioè, che svolgeva il suo ruolo con enfasi e voglia di farlo.
Qualcuno parlerebbe di Burn out, altri di mancata attuazione attraverso il ricorso all’unica politica qual è il ricorso a periodi di forzato riposo che io non ho voluto adottare ( l’unico rimedio ahimè utile a dissipare la quantità di tossine accumulate)di un’adeguata politica di prevenzione.
Fatto sta che qualcosa dopo gli accadimenti di Modena, Bologna, Foggia, Melfi etc. etc. e successivamente al periodo pandemico (per intenderci quel lasso di tempo che mi ha costretto a vivere in carcere a diretto contatto con la morte) in me è successo.
Avevo messo da parte nel tempo quello che credevo potesse rappresentare un limite alla nostra professione vale a dire l’eccessivo tempo, ben 35 anni, da passare in carcere prima di raggiungere l’agognata pensione. Un periodo che io definivo una sorta di ergastolo professionale e che credevo di aver risposto grazie alla passione che era subentrata nel frattempo in me.
Oggi chi Le scrive si ritrova a dover purtroppo rispolverare quel pensiero che tanto mi preoccupava e che mi portava a definire noi poliziotti penitenziari, per via dell’appena varata riforma pensionistica voluta dall’allora Governo Dini e che da un giorno all’altro ha sommato ai 19 anni, 6 mesi e un giorno, altri 15 anni e sei mesi di lavoro in più in carcere da fare, delle autentiche cavie da laboratorio.
Nel 1996, seppur io avessi scelto di fare questo mestiere per via della voglia che avevo di mettermi a disposizione della Costituzione, contribuendo ad innalzare agli altari il volere del comma 3 della Costituzione, non Le nascondo l’interrogazione che mi sono fatto sul rischio che avrei potuto correre superando la soglia minima fino al 1995 prevista dei 20 anni di lavoro, ovvero di contribuzione da versare prima di andare in pensione.
All’epoca, tra l’altro, nelle carceri di baschi blu ne eravamo in 41.000 e dovevamo gestire, se non ricordo male, non più di 25.000 detenuti (nel 1990 erano 21.000). Oggi di detenuti se ne contano 56.524 (dato del 30 Novembre 2022) e di poliziotti ne siamo circa 6000 in meno seppur molti dei quali farcidiati da più di 30 anni di carcere “sulle spalle”.
Al primo Gennaio del 2023, così come fatto nel lontano 1996, mi ritrovo ancora in prima linea a gestire nei reparti detentivi quelle dinamiche penitenziarie fatte di drammi umani, di autolesionismi, di suicidi e tentativi di suicidio, di aggressione di colleghi che hanno purtroppo rappresentato una costante.
Oggi mi ritrovo a dover affrontare lo stesso drammatico mestiere con molti meno strumenti a disposizione ( i detenuti invece molti di più visto l’utilizzo di droni e di micro cellulari) e con innumerevoli responsabiltà in più.
La paura in me cova non solo per il timore di essere in qualunque momento aggredito da un detenuto psichiatrico il quale anziché essere ricoverato nelle REMS viene in maniera improponibile recluso in carcere ( Sulmona, carcere in cui lavoro, sembra essere divenuto un OPG ma senza quei professionisti che prima della loro discutibile chiusura ne sapevano quanto meno gestire le dinamiche)ma per le eccessive e gravose responsabilità, ai carichi di lavoro, ai rischi e ai pericoli ai quali tutti siamo costantemente ed ordinariamente sottoposti.
Egregio Ministro…oggi non vengono neanche più trasferiti quei detenuti che si rendono autori di gravi fatti durante la loro detenzione. Uno di questi ha scaricato l’intero contenuto di un estintore in polvere addosso ad un mio collega mandandolo, in uno stato di quasi soffocamento e per poco non reso cieco, dritto dritto in ospedale. Lo stesso detenuto, quasi a voler sbeffeggiare l’amministrazione per non dire lo Stato, non solo staziona nello stesso posto malgrado siano passati molti mesi dal grave gesto fatto, ma continua imperterrito nel suo insano modo di gestire la sua carcerazione.
Signor Ministro ci sarebbero molte altre cose da dirLe ed è per questo motivo che mi sono sentito di invitarLa a Sulmona.
L’ho fatto per far sì che ascoltasse personalmente le mie doglianze e quelle di molti altri colleghi.
Lei è persona dotata di tantissima esperienza e per certi versi capace di impersonare il ruolo di nostro padre putativo.
Seppur dal punto di vista amministrativo La prego di venire a Sulmona. Venga ad ascoltare quello che i suoi “figli”, amministrativamente parlando, hanno da dirLe.
Collaboriamo insieme al fine di trovare una soluzione ai nostri problemi.
Vorrei ancora servire l’Amministrazione così come ho sempre fatto e credo di farlo a nome di tutti i baschi blu italiani ma La prego di aiutarci perché ne avremmo veramente bisogno e prima che sia troppo tardi..
Ci aiuti a lavorare per vivere e non “morire” per lavorare.
Con innata stima suo “figlio”.
Il Segretario Generale Territoriale UIL PA PP L’Aquila e Organizzativo UIL PA Abruzzo
Mauro Nardella
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