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Ambiente

Il riscaldamento globale sta uccidendo i ricci

Gabriele Farina

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“Mentre tutti plaudono all’arrivo anticipato della primavera e al clima straordinariamente mite di questi giorni, io non riesco a contenere la mia inquietudine di fronte al paesaggio brullo e arido delle colline che vedo dalla mia finestra. Da due mesi ormai non cade una goccia d’acqua e la temperatura si è mantenuta abbondantemente sopra i dieci gradi per gran parte del mese di gennaio, arrivando addirittura a toccare punte di quasi 20 gradi durante i giorni della Merla, tradizionalmente i più freddi dell’anno” .

Sono parole l dott. Massimo Vacchetta, veterinario che dirige il Centro Ricci “La Ninna” di Novello, in provincia di Cuneo, che oggi ospita circa 200 ricci, alcuni resi disabili dall’attività dell’uomo (investimenti, ferite da decespugliatori e dai tosaerba robotizzati), altri recuperati in condizioni difficili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico (impossibilità di andare in letargo, mancanza di prede per l’utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura, nei nostri orti e nei giardini).

“Ciò che mi preoccupa di più è la tendenza al rapido peggioramento inserito nel contesto del riscaldamento globale: le temperature in tutto il mondo stanno aumentando vertiginosamente a causa della continua immissione da parte dell’uomo di gas serra, CO2, nell’atmosfera”.

Secondo i dati dell’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) il 2021 è stato uno dei sette anni più caldi mai registrati ed il settimo anno consecutivo (2015-2021) in cui la temperatura globale è stata mediamente superiore di oltre 1 grado centigrado in confronto ai livelli preindustriali.

La scienza prevede che, se andremo avanti di questo passo, nell’arco di questo secolo le temperature potrebbero aumentare di 4-6 gradi causando una tremenda devastazione dell’ambiente in cui viviamo. Per far capire l’entità del problema, basti pensare che i cambiamenti che stiamo vivendo ora sono la conseguenza dell’aumento di un solo grado in 30 anni. I più giovani non hanno conosciuto gli inverni di una quarantina di anni fa: freddi e rigidi, con precipitazioni nevose copiose, candelotti di ghiaccio ad ornare il bordo dei tetti e temperature che scendevano spesso abbondantemente sotto lo zero. Questo era un bene per noi e per l’agricoltura, perché il manto nevoso proteggeva la vegetazione e le colture dal freddo e le manteneva umide e sane.

“Da otto anni, in qualità di veterinario, mi occupo del recupero e della cura dei ricci, piccoli mammiferi notturni che accolgo nella mia casa-ospedale di Novello, un piccolo paese abbarbicato su una rocca delle Langhe, nella zona del Barolo. Dopo aver lasciato la libera professione negli allevamenti dei bovini, ho intrapreso questa missione che mi permette di aiutare gli animali e al tempo stesso di cercare di fare qualcosa di concreto per tutelare l’ambiente. La mia diretta esperienza con la fauna selvatica, anche se limitata ad una sola specie, i ricci appunto, mi ha fatto toccare con mano quanto sia grave la problematica del degrado ambientale e del riscaldamento globale e quanto poco sia purtroppo percepita dalla gente”

I ricci sono animali considerati sentinella dello stato di salute di un ecosistema, in quanto a stretto contatto con il suolo, territoriali e insettivori. Il rapido declino di questa specie che, nella sua forma attuale, vive sul pianeta da circa 15 milioni di anni è sintomatico del grado di devastazione che la razza umana sta causando al pianeta. I ricci hanno subìto un calo numerico di ben il 70% in Europa, in soli 20 anni. I dati rilevati in Inghilterra sono ancora più impressionanti; secondo una stima fatta dagli anni settanta ad oggi, gli esemplari presenti sul territorio sarebbero scesi da 30 milioni a meno di ottocentomila.

Di questo passo, se non si farà nulla, i ricci si estingueranno nel giro di 10-20 anni.

Le ragioni per cui stanno scomparendo sono molteplici e vanno dalla perdita del loro habitat, all’espansione delle monocolture, dal declino del numero di insetti, agli incidenti d’auto e all’abuso di pesticidi. Ad aggravare una situazione già compromessa, ora ci si è messo anche il cambiamento climatico. Le temperature in rapido aumento rendono la vita sempre più difficile alla fauna selvatica che fatica ad adattarsi, anche perché tutto sta avvenendo molto velocemente. I periodi di protratta siccità causano un’ecatombe di morti per disidratazione e denutrizione, così come i periodi sempre più prolungati di caldo intenso provocano un aumento vertiginoso della mortalità per shock termico. Gli animali selvatici, a differenza nostra, non hanno facile accesso all’acqua e non hanno case che li proteggono dal caldo. Il protrarsi della stagione calda sta anche causando uno stravolgimento del ciclo riproduttivo dei ricci.

“Nell’autunno del 2021 abbiamo dovuto recuperare oltre 70 soggetti molto giovani nati nei mesi di ottobre, novembre e dicembre: troppo tardi per poter mettere su il peso necessario a superare l’inverno. Vent’anni fa queste cose non succedevano perché la stagione delle nascite era limitata alla primavera e all’estate. Ora abbiamo, da diversi anni, una seconda cucciolata in autunno. Il novanta per cento dei piccoli nati in questo periodo è destinato a morire di fame e di stenti. Un riccio dovrebbe andare in letargo a novembre con un peso superiore ai 600 grammi per avere qualche possibilità di rivedere la primavera. Invece nel nostro ospedale abbiamo soccorso piccoli di appena 200 grammi in tardo autunno, come “Talpa”, un bellissimo cucciolo dal nasino rosa, trovato in pieno giorno, che barcollava stremato dalla denutrizione”

A questo grave problema recentemente se n’è aggiunto un altro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a improvvisi rialzi termici durante la stagione invernale, con conseguente risveglio di molti soggetti dal letargo e spreco di una grande quantità di energia preziosa, accumulata nel grasso corporeo, che, una volta non più disponibile, finisce col compromette la possibilità di sopravvivere fino alla primavera.

Il drammatico calo numerico delle specie selvatiche come il riccio dovrebbe essere motivo di grande preoccupazione per tutti, perché ha ripercussioni molto più ampie di quanto molti possano immaginare. I ricci, come la maggior parte degli animali, hanno un importante ruolo nel mantenere in vita un ecosistema che permette anche a noi di sopravvivere.

Le ragioni sono semplici ma meritano di essere ricordate. Anche se la metà degli esseri umani vive in città, gode di quattro elementi indispensabili alla vita, ovvero l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo prodotto dall’agricoltura e un clima mite. L’abitabilità della nostra fragile biosfera è legata all’incessante attività degli ecosistemi, ora più che mai in pericolo a causa dell’effetto serra e dello sfruttamento scriteriato delle risorse naturali.

Il problema più grave da affrontare in questo momento è l’inerzia, la mancanza di azione. Il genere umano sembra non comprendere l’entità e l’imminenza della crisi climatica, percepita come una situazione certamente pericolosa ma lontana nel tempo e che quindi che non ci tocca direttamente. Complice di tutto questo è l’informazione non abbastanza incisiva, capillare e costante e la disinformazione legata agli interessi delle multinazionali che, noncuranti del destino che ci attende, continuano a privilegiare il profitto a breve termine “dimenticandosi” che presto ampie zone della Terra diventeranno inabili.

È ora di rimboccarsi le maniche consapevoli che la soluzione arriverà dal basso e che nessuno ci aiuterà ad uscire da questa crisi che potrebbe portare rapidamente alla fine la razza umana.

Ci sono molte soluzioni efficaci, ampiamente illustrate dagli scienziati dell’Ipcc che studiano da anni il problema del clima. Per prima cosa bisogna, in dieci anni, passare dall’energia sporca (petrolio, carbone, gas) all’energia pulita, ovvero solare ed eolica.

Un altro cardine fondamentale è quello di piantare tanti alberi, circa tre trilioni, e di proteggere i boschi e le foreste rimaste: tutelare il verde esistente è fondamentale per l’equilibrio delicato degli ecosistemi; gli scienziati segnalano l’importanza di proteggere almeno il 30 – 50% della superficie forestale del Pianeta.

In questo senso passare ad un’alimentazione vegana aiuta perché i due terzi dell’agricoltura, responsabile della distruzione delle foreste, è destinato a produrre cibo per gli animali da carne degli allevamenti intensivi.

E’ molto importante anche cambiare le nostre abitudini, riducendo lo spreco, cercando di riutilizzare le cose, evitando di gettare spazzatura nell’ambiente. Ognuno di noi deve fare la propria parte cercando però di creare una rete con altre persone in tutto il mondo, in modo da formare un movimento che determini una rivoluzione verde. Dobbiamo fare lo sforzo di portare la società ad una profonda riflessione che provochi l’effetto domino del cambiamento e la nascita di una nuova coscienza collettiva, di una forma di intelligenza planetaria che porti gli esseri umani, su scala globale, a considerare l’interdipendenza delle forme di vita come unica possibilità di conservazione della propria specie e delle altre, andando oltre l’antropocentrismo che porterà solo a distruzione ed auto-distruzione. La nostra sopravvivenza dipende da quella di altri innumerevoli organismi viventi e dal loro funzionamento ed equilibrio nel dare forma a un sistema sinergico che permette la vita sul pianeta: come una macchina che non può funzionare senza che ogni componente sia al suo posto e perfettamente funzionale allo scopo… la creazione e il mantenimento della vita sulla Terra.

“Il Centro La Ninna ha deciso di fare passi avanti concreti, come quello di installare i pannelli solari per l’acqua calda, avviare un progetto di ricerca sulle cause di mortalità dei ricci assieme all’Università di Torino e infine di creare un parco naturale nell’Alta Langa, dove sono già stati acquisiti venti ettari.

Bisogna rimboccarsi le maniche, cominciare ad agire e proteggere tutte le creature di questo pianeta, soprattutto le più fragili.

Non voglio che i ricci si estinguano, non solo perché li ritengo animali meravigliosi, ma perché temo che il loro destino possa presto diventare il nostro…” conclude Massimo Vacchetta.

Per chi volesse informarsi sui ricci e su come poterli aiutare, sui canali social del Centro, si possono trovare consigli preziosi per il primo soccorso, su come raccogliere e trasportare un riccio, come costruire una mangiatoia e una sezione in cui si può adottare un riccio che non potrà tornare in libertà o fare una donazione.

Come aiutare i ricci

Lasciare del cibo ai ricci è un buon modo per aiutarli in periodi di difficoltà, quando, come in estate e autunno, acqua e insetti scarseggiano o, come in primavera, sono debilitati dal letargo.

Lasciamo sempre un sottovaso colmo di acqua fresca (con una pietra al centro, per evitare che venga capovolto) e una ciotola di crocchette o umido per gattini, possibilmente a base di pollo o manzo e non di pesce (è un sapore che non gradiscono molto), all’interno di una mangiatoia di legno. La mangiatoia va collocata sotto un cespuglio in un punto tranquillo del giardino, coperta da un telo di nylon per la pioggia e stabilizzata mettendoci sopra dei mattoni. Le crocchette secche si conservano per 3-4 giorni fuori all’umidità poi, se non vengono mangiate, bisogna sostituirle.
Noi di solito consigliamo di usare una marca di crocchette per gattini, di piccola pezzatura, in modo che siano più facili da masticare. Scegliete sempre delle marche di buona qualità per non creare problemi epatici e digestivi ai ricci.
Si possono aggiungere alla dieta sopraindicata anche uova sode (ma solo ogni tanto), carne di pollo bollita senza condimenti, carne di manzo tritata scottata, qualche pezzo di mela o pera (da evitare la frutta troppo zuccherina come le banane).
Cibi assolutamente dannosi per i ricci
– LATTE DI MUCCA: (sia i ricci lattanti che quelli adulti non lo digeriscono e possono morire di indigestione e pancia gonfia)
– PANE: che forma una massa stopposa che può rimanere bloccata in gola.
– FRUTTA SECCA: tipo noci, nocciole, mandorle (tossiche), uva passa, ecc., perché può incastrarsi in gola e nel palato.

Da evitare anche di dare troppe camole della farina e del miele, perché possono creare uno squilibrio metabolico del calcio con conseguenti assottigliamento e deformazione delle ossa, che possono addirittura fratturarsi. Spesso vengono utilizzate per stimolare il riccio a cacciare le prede vive. In ogni caso le camole vanno date in piccole quantità. I ricci ne sono ghiotti e, se si abituano, si corre il rischio che non mangino più nient’altro.

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