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Ottavio Davini fa il punto sul Parco della Salute di Torino: per aiutare i cittadini a capire

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Si dice spesso dei politici che siano miopi: è una buona metafora, perché indica la mancanza di una visione, l’incapacità di guardare lontano e di cogliere le opportunità che il futuro ci offre ed evitarne le insidie.

E il futuro oggi arriva velocissimo: se ci guardiamo i piedi andiamo a sbattere.

IL FUTURO DELLA MEDICINA
La medicina negli ultimi decenni è evoluta in modo formidabile (come i nostri computer o i telefonini) e quello che oggi serve è prevedere una sanità dinamica e flessibile, che sappia adattarsi ai cambiamenti del terzo millennio (epidemiologico, demografico, tecnologico) e coglierne le opportunità.
Non solo sul piano della salute dei cittadini ma anche su quello delle prospettive della Città e della Regione.
Gli Ospedali dell’attuale Città della Salute (Molinette, Sant’Anna, Regina Margherita e CTO) hanno un’età compresa tra i 60 e i 90 anni.
Oggi, nel mondo evoluto, si considera obsoleto un ospedale che abbia più di 30 anni.
È avvilente – e alla lunga pericoloso – vedere le professionalità di medici e infermieri lottare tutti i giorni con le carenze strutturali di quei posti.
Altrettanto triste è non poter rispondere al meglio ai bisogni di salute dei cittadini.
I piloti possono essere molto bravi, ma se gli aerei sono degli anni ’30…
CHE MODELLO?
A questo punto il problema è – ed ecco il nodo – se ci si può limitare a riedificare l’esistente, o se si aspira a intercettare il futuro, fatto di nuove tecnologie, di ricerca, di innovazione e di integrazione con discipline diverse (che è quello che succede nel mondo).
E infatti qualche anno fa ci fu l’intuizione: cogliere un’opportunità unica per immaginare un luogo che si occupasse di salute, di formazione, di ricerca e che divenisse un attrattore internazionale di finanziamenti, di ricercatori, di studenti e un incubatore d’impresa.
Quindi: Scienza, salute, innovazione. E posti di lavoro, qualificati.
Ma oggi la politica della Regione si guarda i piedi, e – un po’ per distrazione o superficialità e un po’ per le pressioni di quei professionisti che temono di perdere il loro piccolo feudo – sembra che non riesca neanche a capire di cosa stiamo parlando.
Ha capito benissimo quale sia la posta in gioco invece la Città di Torino: la posizione del Sindaco Lo Russo è netta e condivisibile: rinunciare al progetto del Parco della Salute è perdere una possibilità – irripetibile – di dare un nuovo futuro alla Città.
I PROBLEMI
L’Ordine dei Medici ha sollevato da tempo molte questioni che necessitano di una risposta.
Ma il fatto che la Regione non le abbia date non deve farlo scivolare su posizioni ottocentesche, avendo come totem il numero di posti letto e pensando che vada riprodotto l’esistente senza alcuna revisione critica. E questo al netto del fatto che un’analisi accurata sui posti letto realmente disponibili e sul loro tasso di occupazione fornisce risultanze molto diverse da quelle prospettate. Inoltre, la letteratura scientifica boccia da anni gli ospedali sovradimensionati (fenomeno delle diseconomie di scala).
Dall’Ordine dei Medici e dalle Organizzazioni professionali mi aspetterei che costringessero la Regione a mettere le mani sulla rete territoriale, sulla continuità assistenziale, sugli ospedali di comunità previsti dal PNRR. Perché (lo sanno anche i sassi) se non funziona il territorio, nella sua accezione più ampia, i posti letto non basteranno mai.
Perché un buon Servizio Sanitario non si misura sul numero di posti letto disponibili.
Un buon Servizio Sanitario si prende cura del paziente, lungo tutto il suo percorso, senza mai abbandonarlo, e questo percorso può richiedere l’ospedalizzazione in un numero limitato di casi, perché per i pazienti fragili gli ospedali sono luoghi pericolosi.
Quindi quelle che devono funzionare sono le reti ospedaliera e territoriale, connesse tra di loro.
Di questo bisogna parlare.
LA TELA DI PENELOPE
È poi surreale pensare di ri-dividere il polo Materno-Infantile dal resto del Parco; ci sono voluti più di dieci anni per unificare l’organizzazione (un ospedale non è solo posti letto o sale operatorie; un ospedale è anche logistica, amministrazione, reti di collaborazioni professionale, comunicazione, informatica e molte altre cose). Una nuova “separazione” produrrebbe per anni inefficienze organizzative, nuova burocrazia e… costi (basti pensare che sarebbe necessaria una nuova Direzione Generale, con annessi e connessi).
E soprattutto, sul piano assistenziale, renderebbe molto più difficile quella collaborazione instauratasi in questi anni tra ospedali contigui che ha portato a un importante miglioramento della qualità delle cure, soprattutto delle donne e dei bambini.
PER UN DIBATTITO TRASPARENTE
Ci sono cose da discutere? Molte. Dalla rete ospedaliera (Torino non è solo Parco della Salute) alle relazioni con il territorio, dalla distribuzione delle attività al ruolo del DEA. E vanno discusse con i professionisti e la cittadinanza. Questo andava fatto già qualche anno fa, ma non sarebbe mai troppo tardi.
Tuttavia, la Regione, dai cadenti uffici di un Assessorato mai così lontano dalla sanità piemontese, fa e disfa senza sentire nessuno, e senza capire qual è la posta in gioco: non il voto interessato di qualche piccola lobby, ma il futuro della Regione e della salute dei piemontesi. Per questo i cittadini dovrebbero essere coinvolti e partecipi.
NON GIOCHIAMO CON IL FUOCO
Attenzione a giocare con il fuoco: il periodo è difficile di per sé, e il finanziamento ministeriale nasce vincolato a un progetto specifico. Cambiare le carte in tavola, o esasperare gli interlocutori può far saltare tutto. E lasciarci con un pugno di mosche.
P.S.
Sul sito della Regione ci sono le 400 pagine del piano di fattibilità, a cui ha lavorato uno stuolo di professionisti qualificati e competenti.
La data è LUGLIO 2018; per cambiare idea ci volevano 4 anni?

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