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Cultura

Panico a Milano, intervista con Gino Marchitelli

Gabriele Farina

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Si intitola Panico a Milano ma è incentrato soprattutto nel verbano il nuovo romanzo di Gino Marchitelli, RedDuck Edizioni. Siamo tra il milanese e il lago Maggiore, sponda piemontese, nel 2012 e seguiamo le vicende di un misterioso personaggio che ha dedicato la vita alla ricerca della verità per un preciso episodio ed ora, anziano e malato, cerca un erede che possa proseguire il suo viaggio.

L’episodio in questione è l’eccidio del Lago Maggiore, episodio storico che avvenne dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e che a distanza di anni lascia ancora dubbi e senso di ingiustizia. Marchitelli prende spunto da questo drammatico momento storico per sviluppare il suo noir, di cui vi parlo più approfonditamente qui.

Gino Marchitelli, cosa successe sulle sponde del lago Maggiore dopo l’8 settembre 1943?

Dopo l’armistizio, il 13 settembre del 1943, arriva a Verbania e dintorni uno dei battaglioni più violenti e crudeli del nazismo, il 2° battaglione panzer division Adolf Hitler, un corpo specializzato che era stato impegnato in tutti i più importanti fronti della seconda guerra mondiale. Formalmente devono occuparsi di contrastare la grande forza espressa dai partigiani nella Val d’Ossola ma, quando vengono informati da spie fasciste che nei paraggi sono nascosti un centinaio di ebrei molto facoltosi che si preparano a scappare in Svizzera, organizzano dei rastrellamenti e ne catturano 57. Decidono poi che “non è il caso” di mandarli in Germania nei campi ma optano per l’eliminazione e farli scomparire per impossessarsi dei loro beni e soldi.

Da questo episodio prende spunto il romanzo. Qual è la storia che il lettore si trova di fronte?

Con l’ausilio della trama thriller-noir costruisco una narrazione attualizzata quasi ai tempi nostri dove si verificano una serie di delitti, i primi nel milanese e poi nella zona del Lago Maggiore con ambientazione tra Verbania, Intra, Laveno, Ghiffa, che vedono come vittime delle persone anziane. Da qui nasce l’idea, nella narrazione, che l’investigatore coinvolto, il professor Palermo, storico della seconda guerra mondiale, possa collegare questi misteriosi omicidi a una vecchia vicenda veramente accaduta nel 1943 sul Lago Maggiore. C’è l’incontro tra un vecchio ebreo scampato a quei rastrellamenti e che ha sempre cercato di far emergere la verità su quell’episodio e far condannare i responsabili, una persona che incontra questo signore e che si prenderà cura di lui e raccoglierà il testimone della vicenda, una villa lussuosa a Ghiffa e via dicendo…

Come hai mediato tra ricostruzione storica e immaginazione letteraria?

Più che mediare tra immaginazione letteraria e ricostruzione storica ho costruito il libro tutto sulla trama “gialla” e sulla ricerca della verità da parte del sopravvissuto Geremia Hirzog. Poi ho tenuto collegati i luoghi e quindi l’ambientazione in zona lago. La ricostruzione storica si trova alla fine del libro in un capitolo a parte che riporta esattamente quello che è accaduto, i processi e le condanne agli aguzzini nazisti.

Il romanzo è a tratti estremamente duro. Perchè hai voluto dare questi tratti così neri alla storia?

Durante la seconda guerra mondiale sono accaduti, e per fortuna tante cose sono state scoperte e documentate, fatti terribili che sono usciti dalla logica del conflitto in sé per assumere i connotati della bestialità e disumanità che hanno travalicato i confini delle armi per diventare odio puro, spregio, violenza gratuita. La Guerra porta con sé sempre la sconfitta della vita, della solidarietà, dell’accoglienza, della vicinanza e fomenta l’egoismo, l’interesse, la corruzione. Nel 1943 in quella zona sono accaduti fatti abominevoli come la “creazione” del forno crematorio artigianale creato dai nazisti nell’attuale edificio dell’ufficio anagrafe verbanese, per far letteralmente sparire la famiglia Ovazza. Il libro è nero come lo sono sempre certi episodi e il delitto in genere. A quei fatti aberranti ho voluto rispondere con una narrazione che riprenda quel “tipo” di violenza e cattiveria anche se non sono riuscito ad arrivare fino alla follia nazista di quei tempi. Era un libro che doveva, e lo è, essere FORTE e SPIETATO.

Il tuo protagonista, il professor Palermo, è molto defilato in questa storia. Era importante per te che l’attenzione fosse non sul personaggio ma sulla viceda?

Più che defilato Palermo svolge un ruolo di secondo piano, all’apparenza, poi in realtà sarà proprio lui a dipanare la vicenda di fronte alla non capacità delle forze dell’ordine a trovare risposte. L’attenzione del lettore deve andare sulla vicenda ma senza la presenza di Palermo non si sarebbe potuto scrivere in questo modo, dove alla fine, la verità e la giustizia… FORSE… trionfano… O FORSE NO… Chissà, bisogna leggerlo….

Quanto è importante cercare la verità e la giustizia anche a distanza di anni?

La verità – anche a distanza di anni – pensiamo per esempio alla recente sentenza sulla strage di Bologna che arriva 42 anni dopo… è l’unica strada che abbiamo per tenere salda l’umanità e ancorata alla democrazia. Senza verità i popoli, le persone, sono in balia delle ideologie violente e repressive, delle dittature più o meno evidenti. La verità sempre e comunque è l’unica arma che abbiamo per tentare, così difficile adesso, di far sempre trionfare la pace e la giustizia.

Quanto è difficile, relativamente a episodi tanto orrendi, rimanere nei limiti della giustizia senza lasciarsi abbracciare dalla vendetta?

E’ molto difficile quando si scrivono gialli-noir-thriller tenere il timone diritto sul non cadere nell’esaltare la vendetta però dipende da storia e storia. La ricerca della giustizia, quella democratica e legislativa è l’unica necessaria, poi ci sono storie, come questa, dove compare un desiderio di vendetta da parte di una figura, ma in questo tipo di narrazione, in questa storia in particolare, la cosa è possibile e anche credibile. Dopodiché il finale non è per nulla consolatorio… quasi a significare che anche la vendetta in questo caso, viene sconfitta.

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