Cultura
L’adagio della sesta sinfonia, intervista con Francesca Mogavero a proposito di Amalia Guglielminetti
Se conocete poco Amalia Guglielminetti – sarebbe lecito – vi invito a cogliere quest’occasione per accrescere il vostro spirito ed il vostro pensiero. L’occasione è la pubblicazione per i tipi di Buendia Books del racconto L’adagio della sesta sinfonia, edito la prima volta nel 1927. Trovate qui qualche notizia in più ed una breve recensione, mentre qui di seguito l’intervista con l’editrice Francesca Mogavero.
Perchè la decisione di pubblicare, a quasi un secolo dalla prima uscita, L’adagio della sesta sinfonia di Amalia Guglielminetti?
In casa editrice eravamo alla ricerca del titolo adatto per inaugurare la serie “Moscato”, dedicata alle opere vintage: abbiamo indagato, scartabellato, sfogliato, letto e riletto… Personalmente, conoscevo e apprezzavo già le opere di Amalia, in particolare quelle in prosa, sapevo che prima o poi i nostri destini, le nostre parole, si sarebbero incrociati ancora e ancora, ma quando L’Adagio della Sesta Sinfonia, nella sua edizione del 1927, pubblicata nella “Raccolta quindicinale di novelle seducenti” Le Seduzioni (rivista fondata e diretta dalla stessa Guglielminetti), ci ha trovato, non ho avuto dubbi, era destino, era il momento. Senza rivelare troppo, a un certo punto la protagonista della storia rivolge un appello “agli editori intraprendenti”: ora, intraprendente non so, ma editrice lo sono di sicuro… e in Buendia non abbiamo potuto né voluto ignorare la cortese richiesta di questa splendida Autrice.
Chi è per te Amalia Guglielminetti?
Quante pagine puoi concedermi? Mi è impossibile esprimerlo nel modo giusto, con le parole più adatte e sentite, in poche righe. Innanzitutto, devo ringraziare Marina Rota, che con la sua sensibilità e la sua silloge gozzaniana Amalia, se voi foste uomo… mi ha permesso di entrare nel mondo a(m)maliante della Guglielminetti. In seguito ho studiato, letto, letto molto (e ci sto ancora lavorando!), visto immagini, ritagli di giornale… e ho capito che, in estrema sintesi, Amalia è una di noi: sfaccettata, sfuggente, ricalcitrante ai limiti della categorie come è giusto che sia, talvolta irrazionale, con la perenne sensazione di essere fuori tempo, legata a un passato aureo, forse idealizzato, e simultaneamente “troppo avanti”, indipendente, “tosta” al punto da risultare scomoda, pungente, letale come Medusa e i suoi serpenti, ma incompresa, affascinante e straordinaria proprio come loro.
Una donna scrittrice e poetessa nella prima metà del ‘900 non è un caso isolato ma nemmeno così frequente. Qual è stata la forza di Amalia Guglielminetti come autrice?
Penso che la forza di Amalia risieda nella sua capacità di sperimentare generi, forme e stili narrativi differenti, dalla poesia al racconto, dal romanzo all’articolo di giornale, dal teatro alla scaletta di una conferenza. Prova, magari non sempre in modo ineccepibile, a cavalcare i tempi, forse qualche volta viene disarcionata o imbocca un vicolo cieco… ma a chi non è mai capitato, in un modo o nell’altro? Con il suo stile, si rialza più e più volte, ponendosi obiettivi sempre nuovi e mettendosi alla prova – lei per prima, come se il mondo non lo faccia già abbastanza.
Mi rendo conto che ne parlo al presente… Vedi? È anche questa la sua forza: scrivere e parlare senza sconti, lanciare stoccate sempre valide, e in questo modo creare un ponte, una connessione immediata tra la sua epoca e la nostra.
L’adagio della sinfonia, in poche pagine, si presta ad innumerevoli spunti di riflessione. Uno, che approfondisci anche in appendice, riguarda la situazione dell’editoria. Che momento sta vivendo chi si dedica a pubblicare libri?
Difficile, senza dubbio, per le mille e una ragione che ben conosciamo, tra emergenza sanitaria, crisi della carta e… l’adagio che recita: “in Italia ci sono più scrittori che lettori”. Nel racconto di Amalia il maestro di musica Alfeo dice che il libro “si lancia da sé”: dobbiamo allora pensare che, un secolo fa, il mondo dell’editoria fosse più roseo e semplice? Forse, o forse no. Magari c’erano questioni differenti da fronteggiare: certo, le tirature superavano le migliaia, le novità erano meno numerose e la vita di un titolo poteva essere più lunga, ma l’analfabetismo raggiungeva soglie preoccupanti e l’accesso ai “prodotti culturali” era decisamente limitato. Insomma, epoca che vai, difficoltà che trovi. Mi permetto però di supporre che l’affermazione di Alfeo sia una provocazione di Amalia: anche allora le scrittrici e gli scrittori rivestivano un ruolo rilevante nella promozione delle proprie opere… lei stessa fu conferenziera e fece tournèe, addirittura reclamizzò uno sciroppo ricostituente, e immagino che una sua lettura a viva voce, con quelle sonorità un po’ roche, graffianti e beffarde, dovesse sortire un certo effetto!
Quanto ha contato Torino nella vita e negli scritti di Amalia Guglielminetti?
Amalia è nata e morta a Torino, ne ha frequentato i circoli, le redazioni e i locali; a volte se ne è allontanata, ferita dalle perdite, dalla crescente freddezza, dalle vicende personali e giudiziarie con Pitigriilli; per due anni ha abitato a Roma, ma poi è tornata qui nel 1937, vivendo appartata fino alla morte, lontana dai vecchi trionfi e dalla mondanità, accarezzando il suo cane Kiss e, chissà, forse un progetto letterario mai concluso. Torino, regale, all’apparenza altera e inavvicinabile, era in lei e viceversa: impossibile non vederla, oggi, in ogni donna torinese (di nascita o di adozione) che afferri la penna e il proprio destino, in ogni ragazza che studi, lavori, progetti, sogni, in qualsiasi figura che trovi il bello negli angoli più nascosti, giochi con le parole e sappia rivoltarti la vita con una battuta al momento opportuno, uno sguardo significativo, una mano amica, un’emozione regalata.
Assurdo che il capoluogo sabaudo non le abbia dedicato nemmeno un busto, a lei che, nel testamento, aveva disposto di lasciare i suoi beni alla Città in cambio di un monumento funebre “in marmo grigio a forma di piramide egizia”. Mi sembra una richiesta più che legittima, no?
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