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Cultura

Il colpo di tacco, intervista con Gian Carlo Fantò

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E’ ambientato a Torino il primo romanzo di Gian Carlo Fantò, che porta il titolo de Il colpo di tacco, Buendia Books. E da Torino parte un viaggio che dura una vita, coinvolge tre amici e a Torino ritorna.

Matteo racconta la sua vita e quella dei suoi duee amici Joe e Guild. Al centro c’è la musica, intorno tanti amori, tanti dubbi, tanta, tantissima musica. Trovate la recensione completa come sempre sul mio blog.

Gian Carlo Fantò, da cosa nasce la necessità di raccontare questa storia?

Non so se fosse una necessità. Mi sono divertito a farlo, probabilmente mi ha aiutato a perdonarmi un po’ di cose e a capirne delle altre. Benedetti siano gli errori quando fanno crescere.

Quanto c’è di autobiografico in quel che racconti?

Molto. Poi chiaramente ho mischiato le carte e “romanzato” alcuni accadimenti. Ma, in un modo o nell’altro, alla fine è quello che è stato.

Come mai la decisione di partire da tre momenti storici diversi e quella di datare uno di questi momenti appena al di là del presente?

I salti temporali mi sono sembrati un modo per muovere le cose. Un tentativo di tenere alta l’attenzione, spero di esserci riuscito. Chiudere al di là del presente? Un vezzo ed un augurio (Spero che saremo al di fuori della pandemia per allora, avrei indovinato).

Quanta importanza ha la musica nella tua vita e in quella dei protagonisti?

La musica accompagna le mie giornate in quasi tutte le cose che faccio ed è per me una fonte d’ispirazione straordinaria. I protagonisti del libro trovano nella musica la loro ragion d’essere. È imprescindibile per loro.

Che ruolo ha Torino nella tua vita?

A Torino ci sono nato, l’ho molto amata, e come sempre accade con i grandi amori, ci ho anche litigato. È la mia città, nel bene e nel male. Una città strana, difficile, ma con le sue magie ed i suoi fascini.

Che significato ha per te il numero 19?

Il 19 è semplicemente il giorno in cui sono nato. Ed è un numero che mi piace, forse perché è dispari. Li prediligo, sono asimmetrici in qualche modo, e trovo più bellezza nelle imperfezioni.

Sono più grandi gli amori vissuti o quelli che avrebbero potuto essere e non sono stati?

Gli amori vissuti si sono compiuti, hanno fatto il loro corso, quelli incompiuti rimangono latenti, quando li ricordi alle volte sorridi alle volte t’incazzi. Poi ogni storia è a sé, in realtà.

E tu cosa ne pensi?

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