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Cultura

Sotto le stelle di Fred, intervista con Marina Rota

Gabriele Farina

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Il 23 novembre è il centenario della nascita di Fred Buscaglione, l’uomo che portò Torino in Italia e l’Italia in America prima di andarsene via lontano, a cavallo di una Thunderbird rosa. Marina Rota, con Sotto le stelle di Fred, Buendia Books, omaggia l’artista e l’uomo, riportandolo per un attimo sulla terra prima di lasciarlo volare di nuovo via.

Il romanzo racconta il Fred Buscaglione più intimo, osservandolo però da lontano e con profondo rispetto. E racconta la Torino di Fred, la Torino che Fred accese di passione, la Torino che ha il suo centro in piazza Cavour 3, la casa natale di Ferdinando Buscaglione. Trovate la recensione completa sul mio blog.

Marina Rota, Sotto le stelle di Fred non è una vera e propria biografia. Come lo definiresti?

Lo definirei una biografia romanzata, in cui è il sogno a farmi spiccare il volo verso l’epoca di Fred, ma è la conoscenza della sua vita a rendere credibile la mia fantasia.

Che rapporto aveva Fred con Torino?

Aveva un intenso rapporto con la sua città, così ricca allora di fermenti creativi, che aveva definito “più divertente di Roma”, quando si trasferì nella Capitale dopo la fine del suo matrimonio. Era affezionato al palazzo di piazza Cavour, nella portineria del quale era nato; una casa in cui visse a lungo, prima di comprare un piccolo appartamento in via Bava, vicino a quello dell’amico Leo Chiosso. Percorreva la città in bicicletta, spesso già in divisa da orchestrale, per recarsi nelle sale da ballo in cui si esibiva come musicista; poi si comprò una FIAT 1400 color gianduiotto, e infine, nel 1959, fece la sua sfacciata comparsa, nella discreta eleganza di piazza Cavour, la sua Thunderbird rosa, quasi sei metri di lunghezza; l’auto sulla quale incontrò la morte dopo pochi mesi, a 38 anni. Il suo legame con Torino non si affievolì nel tempo; ne è una testimonianza anche il fatto che era solito parlare in torinese con i familiari, con gli amici, con gli Asternovas, e non abbandonò mai questa consuetudine, tant’è che nel libro riporto un divertente dialogo svedese-torinese fra lui e Anita Ekberg.

Ritieni che la città di Torino si sia un po’ dimenticata dell’uomo che le fece scoprire l’America?

E’ noto che Torino non brilla per la generosità e la riconoscenza verso tanti dei suoi “figli” straordinari. Non mi riferisco solo a Buscaglione, ma anche a intellettuali quali Guido Ceronetti e Elémire Zolla.
Nel caso specifico, ho notato un singolare contrasto fra le istituzioni, che non celebrano una data importante come quella del centenario della nascita di un grande artista, che pure ha dato tanto lustro alla città, e i numerosissimi torinesi che con curiosità e interesse si sono informati su questo mio progetto editoriale, curato benissimo dalla Buendìa Books, plaudendo all’iniziativa. Quanti volti, anche sconosciuti, si sono illuminati di un sorriso commosso quando pronunciavo il nome di Fred…Un personaggio sicuramente ancora ben vivo nei ricordi e nel cuore della gente, non solo per il suo straordinario talento, ma anche per la sua irresistibile simpatia. Teniamo conto che, alla fine degli anni Cinquanta, Fred era probabilmente il personaggio più popolare nel nostro Paese: ha fatto divertire l’Italia, l’ha fatta innamorare con Guarda che luna; l’ha fatta piangere, infine, con la sua scomparsa così prematura e crudele.

Nel tuo romanzo c’è un punto su cui insisti parecchio: l’uomo Fred Buscaglione era lontanissimo dal personaggio che lo ha reso famoso…

Sicuramente a ‘Ferdinando’ non era estranea un certa vena di simpatica guasconeria: basti pensare al fatto che durante la guerra, nel corso della quale venne arruolato in Sardegna, riuscì a convincere gli alti gradi militari ad affidargli il compito di organizzare uno spettacolo- adesso si direbbe musical- per rallegrare il morale delle truppe, millantando una lunga esperienza in questo campo. Uno spettacolo che ottenne un grande successo, in cui vennero coinvolti una sessantina di suoi commilitoni, molti dei quali travestiti da efebi e ballerine. Quando però ottenne un successo travolgente grazie al personaggio di ‘gangster’ col ‘sinistro da un quintale’, di duro dal whisky facile, sciupafemmine e rissoso, cucitogli addosso su misura dal geniale Leo Chiosso, Fred fu costretto a recitare la parte anche quando ormai se la sentiva stretta. Basti pensare che molti degli impresari dei locali dai quali era conteso lo scritturavano a condizione che entrasse in scena barcollando, quando in realtà nessuno lo aveva mai visto ubriaco, e lui, sempre più spesso, sostituiva la fiaschetta di whisky con una di tè per non affaticare il fegato. Questo stereotipo lo accompagnò fino alla sua fine prematura; tant’è che molti giornalisti scrissero che l’incidente letale era avvenuto a causa del suo stato di ebbrezza, quando l‘autopsia non rilevò tracce di alcol nel sangue. Anche la sua fama di tombeur era stata esagerata ad arte: Fred fu molto corteggiato dalle donne, ma spesso preferiva una chiacchierata con gli amici alle notti appassionate con le ‘mammifere modello 103’. In fondo rimase sempre un gentiluomo sabaudo, che brillava per correttezza nei rapporti interpersonali e per una simpatia irresistibile che affondava le radici in una straordinaria umanità.

Ho trovato estremamente interessanti anche i ‘contenuti extra’ del romanzo, dalla delicata riflessione di Paolo Conte all’approfondita introduzione di Vittorio Sgarbi, alle interviste in Appendice. Come sono nati questi contenuti?

Paolo Conte ha condiviso con me quella che tu definisci giustamente una ‘delicata riflessione’ sulla scorta di una corrispondenza epistolare che da anni tengo con lui; una corrispondenza, anche questa, d’antan, tenuta con carta, penna e francobollo. Non mi ha stupita la sua sintonia verso un personaggio come Fred, che, in contemporanea con il suo ‘corrispettivo’ del Sud Renato Carosone, importò coraggiosamente in Italia quei ‘nuovi ritmi americani’ che irruppero in un panorama musicale dominato dalla melodia all’italiana e dalla melensaggine dei testi. Forse ‘il Maestro’ per antonomasia, leggendo il mio libro, si sarà anche sorpreso dal fatto che…non tutte le donne odino il jazz!
A Vittorio Sgarbi mi lega un’amicizia ormai ventennale: fra noi intercorre una sincera corrente di stima e affetto, cementata da tante passioni comuni. Non appena informato del mio progetto editoriale, Vittorio esclamò: “Ma Fred Buscaglione è il mio cantante preferito! L’introduzione voglio scriverla io!” Si tratta della sua terza prefazione alle mie pubblicazioni: un bel salto rispetto al mio precedente Amalia, se Voi foste uomo…, da lui amatissimo, dedicato alla tormentata liaison fra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti. Non per nulla, Sgarbi ha intitolato la sua prefazione Da Guido Gozzano a Fred Buscaglione. Le tre interviste finali intendono soddisfare la mia passione per il giornalismo, che convive in me con la fantasia e il piacere della narrazione. Ho dato così voce, alla fine del romanzo, alle testimonianze di Dario Arrigotti, figlio di Dino, pianista dei mitici Asternovas, di Fred Chiosso, figlio di Leo, e di Letizia Buscaglione, figlia del fratello Umberto, che hanno focalizzato aspetti diversi e a volte sorprendenti della personalità del grande Fred.

Cosa significa Fred Buscaglione per te?

Oltre naturalmente all’ammirazione per il suo strepitoso talento musicale e all’invaghimento per il suo fascino che lascio ampiamente trasparire nelle pagine di Sotto le stelle di Fred, provo per la sua figura la struggente nostalgia che sempre mi avvolge pensando alle atmosfere, musicali e non solo, di quella irripetibile stagione torinese, e italiana, che pure non ho vissuto, e che ho cercato di vivere e far rivivere nella pagine di questo romanzo.

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