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Cultura

I cattivi ragazzi, intervista con Maurizio Blini

Gabriele Farina

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Maurizio Blini ci regala un nuovo personaggio tutto torinese. Ne I cattivi ragazzi, Edizioni del Capricorno, il protagonista è infatti un commisario di polizia, anzi sono in realtà due fratelli: un commissario ed un ex Questore, da poco in pensione, che lotta con il vuoto che lo assale e non si fa pregare due volte quando il fratello gli chiede aiuto.

Il romanzo è tutto torinese. Due ragazzi riprendono per caso un grave fatto di sangue (senza sangue) sul lago di Avigliana, ne sono terrorizzati e non sanno come muoversi. Intanto a Torino una lettera anonima accusa un uomo che pare piccolo e indifeso di avere attenzioni particolari nei confronti dei bambini. Lui passa le sue giornate su una panchina al parco della Pellerina. Entrambi i casi arrivano sul tavolo della questura. Trovate qui la recensione completa.

Maurizio Blini torna con un nuova avventura. Come è nata questa storia?

Questa nuova storia nasce dal desiderio di ricostruire una piano narrativo alternativo alla serie Meucci e Vivaldi, che conta ormai dodici volumi con il prossimo in uscita in settembre. Due fratelli, due poliziotti, in una Torino colma di contraddizioni, indagini particolarmente complesse e un passato familiare che pesa come un macigno. Una nuova sfida, sicuramente.

Abbiamo un gruppo di protagonisti. I due fratelli Stelvio, ma anche la loro squadra. In particolare l’agente Farci, che pare particolarmente sveglio. E’ un romanzo collettivo?

Come sempre nei miei romanzi ritaglio uno spazio dedicato ai protagonisti, i poliziotti, spesso. Tutti, in qualche modo, esistono nella realtà, non ho fatto altro che descriverli e raccontarli nel loro vivere quotidiano, umano e professionale. In particolare i fratelli Stelvio, che mi hanno attratto per questa comunanza non solo di intenti, ma di prospettiva, con i loro guai, le loro debolezze, i fantasmi che li inseguono in qualche modo. Gli altri, come Farci, ad esempio, sono poliziotti che ho conosciuto veramente, con cui ho lavorato fianco a fianco, dividendo con loro il bello e il brutto di questo mestiere. Senza sconti, credibili, come nella realtà.

Tra tutti però Moreno Stelvio ha uno spazio particolare, gli hai riservato anche il ruolo, a tratti, di narratore. Ci racconti il suo personaggio?

Moreno conserva uno spazio particolare perché rappresenta, spesso, l’autore, ovvero me stesso. In ogni romanzo inserisco parti di me, della mia esperienza passata, professionale, umana. In questo mi ritengo fortunato. Ho una serie incredibile di ricordi che riaffiorano prepotenti dal passato. Non mi resta che catturarli, elaborarli e trasformarli in storie da raccontare. Storie di polizia, ovviamente, ma anche buchi neri personali, emotivi. Amo sempre tornare sulla disperazione vera, sul dubbio, il limite, l’errore del poliziotto. Odio chi afferma che non si sbaglia mai. Il lato oscuro è sempre molto vicino a noi, spesso cosi vicino da percepirne l’odore metifico.

Sono almeno due i temi molto forti e attuali trattati nel romanzo. Uno si scopre strada facendo, l’altro è dichiarato ed è la pedofilia, tema difficile anche da affrontare dal punto di vista letterario…

Ho scritto molti romanzi, ormai, e in ognuno ho voluto affrontare un tema diverso. Questa è la volta della pedopornografia presunta, se vogliamo, per non spoilerare e di uno strano omicidio, ma veramente incredibile. In entrambi i casi ho cercato di insinuarmi nella narrazione in punta di piedi, con il dovuto rispetto. Mi sono documentato a dovere, ho scritto e raccontato cose, descritte altre. Alcune molto forti.
L’intento resta sempre quello di far letteralmente entrare nella storia il lettore. Fargli vivere un’esperienza particolare, accompagnarlo nei lati oscuri della società, farlo emozionare, perché no, sussultare.

Che ruolo ha Torino in questa vicenda?

Come sempre Torino ha un ruolo da coprotagonista. Le sue location descritte fino all’abuso a volte, l’aria che si respira la notte, le atmosfere, il mistero. Torino aiuta molto in questo.

Sono previste nuove avventure per la squadra di Stelvio?

Sì, ho iniziato una loro nuova avventura. Mi piace questo intreccio familiare e investigativo. Mi incuriosisce. E poi mi piace parlare di quella zona grigia rappresentata da uno sbirro in pensione. Una vera e propria strada in salita, difficile, piena di imprevisti, disillusioni, inganni. Perché il mestiere dell sbirro te lo porti dietro anche quando te ne fai, ti resta cucito addosso, come un tatuaggio. Non puoi farne a meno. Per questo motivo, alcuni, come il nostro Moreno Stelvio, altro non fa se non mettersi nei guai. E’ più forte di loro.

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