Ambiente
Partite le operazioni per calcolare la presenza del lupo nel territorio della Città Metropolitana di Torino
A fine marzo si è conclusa la raccolta sistematica dei segni di presenza del lupo nel territorio della Città Metropolitana di Torino, che costituiva la fase 1 del primo monitoraggio nazionale della specie, lanciato nell’autunno 2020 dal Ministero dell’Ambiente (ora Ministero per la Transizione Ecologica).
Mentre è in corso la fase 2, che prevede la validazione e l’archiviazione dei campioni biologici da inviare ai vari laboratori di genetica di riferimento, si può fare il punto su come si sono svolte nei mesi scorsi le operazioni nelle zone della Città Metropolitana di Torino interessate al monitoraggio.
“Le linee guida e i protocolli operativi, a cui tutti gli Enti, i professionisti e i volontari si devono attenere sono stati elaborati dall’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha coordinato il monitoraggio a livello nazionale. – spiega la Consigliera metropolitana Barbara Azzarà, delegata all’ambiente e alla tutela della fauna e della flora – Grazie al progetto LIFE WolfAlps EU è stata creata una rete di Enti e di volontari che collabora alle attività di campo finalizzate alla raccolta di segni indiretti della presenza del lupo, animale difficile da avvistare ma che lascia tracce che possono essere rilevate dal personale del network debitamente formato”.
Le tracce che vengono rilevate sono costituite da escrementi, impronte sulla neve, resti della predazione e del consumo di ungulati selvatici. Il monitoraggio viene svolto in modo sistematico e calendarizzato da ottobre a marzo. Nel caso del territorio della Città Metropolitana di Torino è stata monitorata la porzione della catena alpina che va dalla Val Pellice al Canavese e quindi dal confine con la Provincia di Cuneo (anch’essa interessata al monitoraggio) a quello con la Valle d’Aosta. Per la prima volta, oltre ai territori alpini, sono stati monitorati quelli collinari tra il Chivassese e il Chierese, il parco della Mandria e la zona a quota più alta della Serra morenica di Ivrea.
Sono state ben 170 le persone coinvolte nell’attività, tra personale di vari Enti, Carabinieri forestali, guardiaparco, agenti faunistico-ambientali della Città Metropolitana, GEV, volontari indipendenti o appartenenti ad associazioni come la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi, il WWF e il CAI, il personale dei Comprensori Alpini CA TO 1, 2 e 3 e dell’azienda faunistico venatoria dell’Albergian.
Sono stati individuati 192 transetti per un totale di 1150 chilometri da percorrere, la maggior parte dei quali monitorati a piedi una volta al mese per sei mesi, con l’obiettivo di raccogliere i segni di presenza. Oltre ai segni materiali, sono stati raccolti dati fotografici e video validati, sia occasionali che derivanti dal monitoraggio sistematico della specie con l’impiego delle fototrappole.
L’obiettivo del monitoraggio è la stima della consistenza numerica dei branchi e della loro distribuzione sul territorio. I risultati non possono prescindere dalle analisi genetiche derivanti dalla raccolta di campioni fecali freschi (ma anche dai lupi rinvenuti morti), che consentono il riconoscimento individuale degli animali, la ricostruzione delle relazioni parentali e dei fenomeni di dispersione. Tutte le informazioni sono utili per chiarire nel tempo le dinamiche dei branchi e la loro configurazione spaziale, partendo dal presupposto che un singolo branco occupa un territorio che ha un’estensione variabile tra i 100 e i 200 chilometri quadrati.
I dati raccolti in campo durante l’inverno comportano un successivo lavoro di alcuni mesi da parte dei ricercatori, poiché devono essere processati, analizzati geneticamente e sintetizzati in report tecnico, che presumibilmente sarà disponibile verso la fine di quest’anno. Un primo bilancio potrebbe essere costituito dalla distribuzione dei segni di presenza sul territorio.
Rispetto ai precedenti monitoraggi, la tecnica non è cambiata. Quelli che cambieranno saranno probabilmente i dati sulla consistenza numerica e la distribuzione della specie, poiché l’area monitorata a partire dall’ottobre 2020 è un po’ più ampia rispetto alla campagna conclusa nel 2018.
Grazie al supporto di un gruppo di ricercatori, si otterrà una stima attendibile della distribuzione e della popolazione del lupo in Italia. I dati saranno messi a disposizione delle istituzioni, che sono tenute a comunicare periodicamente alla Commissione Europea i dati relativi allo status di conservazione del lupo, essendo la specie inserita nell’allegato D della direttiva Habitat come “specie prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa”. “Le istituzioni dovranno prendere decisioni che, con l’espansione della popolazione in zone nuove, alcune a bassa quota, le pongono di fronte a scelte inedite. – sottolinea la Consigliera Azzarà – Il primo passo verso qualsiasi tipo di ipotesi per la gestione della specie lupo è la conoscenza scientifica dello status della popolazione”.
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