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Messa a punto in Piemonte l’analisi dei geni mutati responsabili di malattia in pazienti con insufficienza renale ereditaria

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Pazienti affetti da una patologia, su base ereditaria, che porta a insufficienza d’organo, principalmente di rene, e in misura minore di fegato, cuore e polmone, un laboratorio di immunogenetica clinica, un prelievo di sangue, alta tecnologia e l’expertise di un centro donazione-trapianti. Sono questi gli ingredienti che hanno consentito di avviare in Regione Piemonte un sistema di diagnostica genetica di altissima qualità ed efficienza che permette di ‘leggere’ il codice di un gran numero di geni rilevando la presenza di specifiche varianti (mutazioni) che possono chiarire la causa della malattia, favorire il buon esito del trapianto o definire un più appropriato percorso clinico terapeutico. Il progetto dal titolo: “Miglioramento del beneficio determinato da trapianto” per lo svolgimento di attività di ricerca in ambito bioinformatico, a supporto dell’équipe del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei trapianti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, e del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università degli Studi di Torino, è stato possibile grazie all’istituzione, da parte di Fondazione DOT Onlus, nel corso del 2020, di una borsa di studio di 5 mesi, finanziata da Unicredit Spa per 7 mila euro.

«Il progetto – spiega la professoressa Silvia Deaglio, responsabile scientifico della ricerca – ha consentito di ‘istituzionalizzare’ un servizio dai numerosi benefici. Consente infatti ai pazienti con insufficienza d’organo e in attesa di trapianto, di poter eseguire test genetici in loco senza doversi recare fuori regione e ricevere una diagnosi genetica. Grazie a un sistema bioinformatico altamente raffinato che si avvale della tecnologia di sequenziamento del DNA di nuova generazione – o NGS, next generation sequencing – possiamo infatti leggere circa 7 mila geni, un terzo di tutti i nostri geni, scelti e selezionati per il loro coinvolgimento nello sviluppo di patologie umane su base monogenica. Si tratta di un gruppo molto eterogeneo di malattie accomunato dal fatto che una variante “dannosa” in un singolo gene è condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo di patologia. Le lettere del DNA che codificano tutti questi geni sono diversi milioni e leggerle genera una mole enorme di dati, diversi giga per ciascun paziente, da cui è necessario evidenziare eventuali varianti genetiche patogeniche, ovvero variazioni della sequenza che si traducono in variazioni significative della proteina codificata, potenzialmente responsabili della patologia di cui è affetto il paziente. Per identificare queste varianti è necessario disporre di un algoritmo analitico che permetta di distinguere il segnale (la mutazione) da un eventuale rumore di fondo (varianti fisiologiche di nessun impatto per la patologia)». Il sistema bioinformatico, che è stato collaudato con uno studio condotto su 144 pazienti, ha una significativa rilevanza nella gestione clinica dei pazienti e nel possibile accesso a determinate terapie “mirate al bersaglio”. I risultati di questo lavoro sono stati di recente pubblicati sulla rivista internazionale Journal of Nephrology “Clinical exome sequencing is a powerful tool in the diagnostic flow of monogenic kidney diseases: an Italian experience”. Non solo: la metodica garantisce ai pazienti una diagnosi certa di malattia e delle possibili implicazioni per sé e per eventuali famigliari. Infine, nel caso del trapianto di rene da donatore vivente, la diagnosi genetica di un eventuale parente donatore può fornire un quadro clinico più completo. «Nella gran parte dei casi – aggiunge la Professoressa – il donatore di rene è un famigliare, dunque è fondamentale sapere che il donatore non abbia una malattia genetica ereditaria che possa rappresentare un rischio al momento della donazione stessa per sé e il ricevente. Grazie a questo servizio, attivo su tutta la ‘rete’ nefrologica del Piemonte, possiamo categorizzare meglio i pazienti e prevenire/evitare possibili rischi legati alla donazione-trapianto».

Solo nel 2020 la metodica è stata applicata a circa 350 pazienti. «Conoscere in anticipo i geni mutati – continua la professoressa – e quindi la probabilità di malattie ereditarie, permette di definire con migliore successo il candidato ideale al trapianto, come anche di potere prognosticare nel medio-lungo termine lo sviluppo dell’insufficienza d’organo e non ultimo di avere diagnosi più accurate, particolarmente importanti in caso di malattie renali. Specie nelle forme che colpiscono pazienti giovani, come la glomerulosclerosi focale segmentaria. In questa malattia, ad esempio, può fare la differenza nella cura e nella prognosi capire se la malattia è su base ereditaria, che trae i migliori benefici dal trapianto, o su base immunologica che richiede un monitoraggio più attento in termine di terapia immunosoppressiva a causa di una probabilità di recidiva più elevata. Fondamentale è dunque poter disporre di una valutazione genetica che può ‘guidare’ e direzionare nella scelta terapeutica, a differenza della sola biopsia renale che – al di là dell’invasività – non sempre è discriminante in quanto può essere di difficile interpretazione se il danno è avanzato». A fronte di un semplice prelievo di sangue, l’analisi genetica permette, dunque, di avere informazioni preziose riguardo le malattie ereditarie sia per il paziente come per la famiglia, implicazioni per i figli, progettualità genitoriale, diagnosi prenatale.

Ad oggi il test è applicato, in prevalenza, a tutte le patologie renali che possono causare insufficienza d’organo sia nell’adulto dove su 100 dializzati, 10-12 pazienti possono presentare una malattia su base monogenica nella quale la variazione di un singolo gene è condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo della malattia, sia in età pediatrica in cui le varianti genetiche ereditate che possono indurre insufficienza d’organo sono riferibili a 1 caso su 3. In misura minore viene utilizzato per le malattie polmonari, infatti la fibrosi cistica che porta a insufficienza respiratoria, già dispone di diagnostica genetica, e nelle malattie epatiche in cui l’ereditarietà è un fattore raro nell’adulto. «In futuro – conclude la professoressa Deaglio – è possibile pensare che per le patologie renali, il test genetico possa essere utile anche alla diagnosi e prevenzione di malattie quali ad esempio il rene policistico dove la conoscenza dei geni mutati, e quindi dei meccanismi di malattia, già permette oggi di utilizzare farmaci in grado di ritardare la comparsa dell’insufficienza renale cronica».

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