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Cultura

Stregoneria: malefici, eresia e culto del diavolo in Piemonte, intervista con Massimo Centini

Gabriele Farina

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Massimo Centini torna a parlare di streghe e (naturalmente) torna a parlare di Piemonte. Il suo nuovo lavoro per Yume si chiama Stregoneria: malefici, eresia e culto del diavolo – Piemonte e Liguria ed è un bel viaggio sul territorio alla scoperta dei casi di stregoneria nei secoli folli e drammatici dell’Inquisizione.

Centini non sciorina dati e numeri ma sceglie alcuni casi particolari da rccontarci con approfondimenti e dettagli raccolti dai documenti dell’epoca. Ci porta sul territorio e analizza cosa è effettivmente accaduto (o almeno quello che sappiamo). Trovate la recensione completa del libro qui.

Massimo Centini ha risposto alle mie domande.

Ancora una volta hai scelto di affrontare il tema della stregoneria, invero molto ampio. In cosa si differenzia questo libro dai tuoi precedenti sul tema?

L’argomento e sconfinato, anche solo rivolgendosi ad aree ristrette: quindi il materiale non manca per essere originali e portare ai lettori interessati casi nuovi e nuove chiavi di lettura.

Piemonte e Liguria. Due territori precisi nei quali ha scelto di raccontare alcuni episodi circostanziati. Come hai selezionato le storie da approfondire?

In questo caso mi sono rivolto, in larga misura, a casi in cui le streghe erano accusate di portare la peste: tema che in qualche modo lascia intravedere le paure e le angosce caratterizzanti la nostra società attuale in piena crisi Coronavirus.

Il Piemonte, zona di eresie storiche, ha avuto “storie di streghe” più di altri territori?

Sicuramente il Piemonte, come altre regioni dell’Italia settentrionale, è stato segnato da numerosi casi: ha svolto un ruolo non indifferente la lotta all’eresia, che certamente ha favorito la formazione di un humus particolarmente fertile per far attecchire credenze su culti satanici e magia diabolica.

Quanti casi documentati di esecuzioni di streghe sono conosciuti in Piemonte?

Difficile dirlo senza essere imprecisi. Quanto conosciamo costituisce una parte di quanto effettivamente accadde. A ciò si aggiunga che non tutti i casi a noi noti sono provvisti di una base documentale in grado di consentire la ricostruzione totale del percorso giudiziario. Non mancano poi problemi epistemologici determinati dall’effettiva comprensione delle accuse, spesso sorte da problematiche intrinseche alla società accusatrice, che faceva della strega un capro espiatorio.

Tra i vari temi che hai toccato mi ha particolarmente interessato il rapporto della popolazione con le esecuzioni delle vittime. I tentativi di parenti e amici di salvare il condannato. Nell’immaginario collettivo la strega è una donna solitaria e senza amici. Non sempre era così…

La realtà è diversa dai luoghi comuni sorretti dalla fantasia, dalla storiografia romantica, dalla letteratura e dal cinema. Le streghe – o meglio le donne accusate di stregoneria – non erano vecchie, brutte e sdentate, ma spesso erano donne giovani, di mezza età, con famiglia, affetti. Non mancano appunto casi in cui parenti e amici delle accusate cercarono di salvarle.

Curiosità: qual è stato il caso che avresti voluto inserire in questo libro ma che hai poi deciso di escludere?

Quando si fai un libro che intende raccontare dai fatti, hai il dovere di sorreggere quanto dici con delle fonti e dei riferimenti bibliografici: quindi sei costretto a escludere quei fatti di cui non hai un sostegno documentale certo, ma solo frammenti, o citazioni provenienti da fonti non accreditate.

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