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Cronaca

Askatasuna: i manifesti su Cirio e le BR non sono nostri, è una messinscena

Gabriele Farina

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Askatasuna smentisce con un comunicato che i manifesti che ritaggono Alberto Cirio in veste di Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse siano una loro iniziativa.

Se tutto quello che viene appiccicato sui muri dell’Aska e dintorni ci appartenesse dovremmo rivendicarci gli annunci istituzionali del Comune di Torino, miracolose diete dimagranti e dossier sugli Ufo nel canavese (con tutto il rispetto per gli ufologi).

Di cosa stiamo parlando? Dell’ennesima trovata ad uso e consumo giornalistico (e questurino) per spargere un po’ di terrore nei nostri confronti. Ieri su tutti i giornali è apparso un fotomontaggio di Cirio inserito nella famosa foto del sequestro Moro che sarebbe stato appiccicato in diverse parti delle città tra “la zona intorno al centro sociale askatasuna” (sic!). Tanto è bastato ai giornalisti per desumere che il manifestino con il fotomontaggio, non firmato, sia nostro. E giù di canea mediatica, dichiarazioni di solidarietà a Cirio bipartisan e sviolinate sul “clima di violenza” che si respirerebbe. Peccato che in questa città in cui la politica è rappresentata da post-fascisti “ripuliti”, magnaccia mancati e sindacalisti venduti siamo gli unici a esserci caratterizzati, in vent’anni di storia, per un solo motto: “fare ciò che si dice, e dire ciò che si fa”. Abbiamo sempre firmato i nostri volantini, abbiamo sempre messo la faccia in prima persona in ogni iniziativa a cui abbiamo partecipato o che abbiamo organizzato. Non ci siamo mai nascosti, nel bene e nel male (per non parlare del fatto che è sempre stata anche una questione di stile e una grafica così demodé non l’avremmo stampata neanche nel ’96, anno di occupazione del centro sociale).

Una messinscena così palese non meriterebbe neanche un commento, ma lasciateci dire una cosa. È stato osceno vedere ieri il susseguirsi di comunicati stampa dei pezzi grossi di PD, Lega, Forza Italia e FDI sulle terribili intimidazioni al povero Cirio mentre c’è una nostra compagna, Dana, che si trova proprio in questo momento tra le mura del carcere per avere tenuto il megafono durante una protesta notav. Questi grotteschi paladini delle libertà politiche non si vergognano neanche di denunciare la “violenza” di un collage mentre una ragazza viene stritolata dai meccanismi repressivi di uno stato deciso a soffocare ogni opposizione che esca dal teatrino che questi signori chiamano politica.

Guarda caso questa boutade mediatica costruita ad arte viene fuori proprio nel momento in cui Dana sta ricevendo una grande solidarietà alla luce del moto d’indignazione che ha provocato la vergognosa sentenza nei suoi confronti. Sarà che nelle redazioni torinesi e in questura (ormai due luoghi indistinguibili) sono spaventati dal fatto che il giochetto della criminalizzazione di chi porta avanti le lotte sociali in valle e in città si sta rompendo?

Centro Sociale Askatasuna

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