Cronaca
Coronavirus: la SC Recupero e Rieducazione funzionale al Covid Hospital OGR di Torino
Riceviamo e pubblichiamo alcune riflessioni dell’équipe della SC Recupero e Rieducazione Funzionale dell’ASL Città di Torino, impegnata presso il COVID Hospital OGR composta da Tiziana Iacomussi (direttore SC Recupero e Rieducazione Funzionale), Maria Gabriella Bollani (fisiatra), Cristina Miletto (ccordinatore), Andrea Vitella e Carla Marocco (fisioterapisti), Erika Marcelli (logopedista):
T. Iacomussi – Ci siamo impegnati in questa stravolgente esperienza lavorativa il 29 aprile 2020, quando ci venne chiesto di attivare dei percorsi riabilitativi per i pazienti ricoverati presso il COVID Hospital OGR. Abbiamo così costituito una mini équipe riabilitativa costituita da un fisiatra, una logopedista e due fisioterapisti.
Ma cosa vuol dire “riabilitare” in tempo di COVID-19?
E cosa significa riabilitare in un “COVID Hospital”?
Lo scenario che si è presentato è stato sicuramente molto complesso e variegato, perché non solo riferito alle problematiche ortopediche e neurologiche che non possono essere private del nostro intervento, ma anche e soprattutto a quelle respiratorie e motorie COVID-correlate che esitano in importanti deficit funzionali con ripercussioni sulla gestione e ripresa delle attività di vita quotidiana. Quindi il nostro intervento è stato modulato con l’obiettivo di recuperare e ripristinare le capacità e l’autonomia individuale per il rientro domiciliare. Peculiare la modalità del lavoro in un COVID Hospital, in quanto per le caratteristiche di “fisicità” del lavoro del riabilitatore immaginavamo che i DPI creassero ostacoli nelle azioni, nella comunicazione, nell’interazione con il paziente. Ma il vissuto lavorativo e la testimonianza diretta di tutti noi dimostra come le apparenti o ipotetiche difficoltà possano in realtà trasformarsi in esperienze lavorative cariche di umanità e dedizione, di soddisfazioni e di ottimi risultati.
M.G. Bollani – Le OGR sono un piccolo mondo separato dal mondo grande. Una porta divide l’area gialla dall’area rossa. Anche se l’ho fatto tante volte, quando passo quella porta mi emoziono sempre. Uomini e donne là dentro sono prigionieri e nessuno può dire con certezza quando potranno uscire. Quando arrivo da un paziente spesso mi dice che mi stava aspettando. La riabilitazione è la loro grande speranza. Speranza di tornare a una vita normale. Riprendere a respirare, a parlare, a mangiare, a camminare, a vivere. Pronti per valicare quella porta verso il mondo dei sani. Ogni paziente guarito è una vittoria, per lui come per noi. E questo ci fa sentire che siamo una squadra. Una squadra che vince. Oggi ci hanno chiesto se volevamo tornare nei nostri ospedali per lasciare il posto ad altri. Siamo stanchi non lo nascondiamo. Ma vogliamo restare tutti.
A. Vitella – Da quando è iniziata l’emergenza negli ospedali ho sentito il desiderio di rendermi utile, di far parte di qualcosa lontano, qualcosa che mi rappresentasse. Apnea. Così il primo giorno, entrando nella zona rossa, il primo ricordo è andato all’ultima volta in quel luogo. Ricordo l’orchestra che aveva accompagnato la mia serata. Musica. Stavo bene, non mi disturbava lo scafandro che indossavo, invece mi sembrava di aver appena ripreso a respirare. Aria. Dentro sembrava tutto normale, i nomi sul petto degli altri operatori li rendeva più vicini a me di una faccia in un ospedale. Contatto. Le persone che avevano bisogno di noi fisioterapisti, contro le mie attese, non erano straniti nel parlare ad un pezzo di plastica bianca con due occhi. Erano quelli di sempre.
C. Marocco – In un momento così triste per la nostra sanità, entrare in un luogo di cura dove ogni mattina vieni accolta con un “buongiorno” ed un sorriso da parte di tutti gli operatori sanitari, personale amministrativo, di sorveglianza, logistico, impresa di pulizie, è un’esperienza che raramente ho vissuto nella realtà ospedaliera.
Il luogo “fisico” dell’Area Rossa mi ha fatto apprezzare gli spazi aperti e senza veri muri; la comunicazione e la comunanza tra operatori e pazienti e tra i pazienti stessi è favorita. Vedere nascere piccole “comunità” di pazienti che si sostengono a vicenda è una situazione non comune.
L’abbigliamento è per tutti uguale sia in Area Verde che in Area Rossa. Ho imparato come la comunicazione non verbale sia potente anche solo con metà volto, soprattutto con i pazienti. Dopo qualche volta che ti vedono non guardano più la scritta sulla tuta e due occhi che sorridono rassicuranti valgono più di mille parole. Un signore, in particolare, mi ha colpito: continua a dirmi “Sei bella”.
Il mio è un lavoro molto fisico dove il contatto “di pelle” è molto importante. Potrebbe sembrare che un doppio paio di guanti ti faccia perdere una parte importante ed invece, non è così. Grazie ai DPI sempre presenti io posso abbracciare chi in quel momento ne ha bisogno.
Non sono mai uscita dalle OGR con un senso di frustrazione o rabbia per non aver potuto fare il mio lavoro in maniera completa. Alle OGR ho il tempo di seguire tutte le fasi di un processo riabilitativo: stanca sì, ma felice e soddisfatta!
E. Marcelli – Un paio di anni fa ho scritto un articolo editoriale intitolato “L’unione fa la cura. Lo stile multi ed inter-disciplinare del percorso riabilitativo circa l’importanza del lavoro in équipe e la multi- e soprattutto inter-disciplinarità nel processo di cura del paziente”. Nonostante io sia profondamente convinta che tali principi siano davvero fondamentali, forse non ne avevo capito la vera portata e l’essenza più intima, fino al mio ingresso al COVID Hospital OGR dell’ASL Città di Torino per far fronte all’emergenza COVID ancora in atto.
Dal primo giorno in cui ho messo piede in questa struttura mi è stata chiara una cosa: qui ognuno apporta il proprio contributo (tecnico, professionale, umano), secondo le proprie competenze in un clima di totale cooperazione. Ogni giorno l’équipe multiprofessionale si riunisce in completezza di formazione: ciò che dice una figura è ascoltato e tenuto in considerazione da ognuno degli altri operatori perché ogni professionista dà il suo apporto per ciò che gli compete e questo apporto non è mai superfluo o trascurabile. Potrebbe sembrare banale, perché in ogni posto in cui lavorano delle persone dovrebbe funzionare così, ma non so come dire… sarà l’ambiente tra virgolette piccolo trattandosi di una la realtà ospedaliera, sì, ma su scala ridotta, sarà il fatto che già di partenza l’organizzazione è stata pensata con regole chiare: l’affiancamento ad un’équipe medica esperta che accompagnasse il progetto con la giusta fermezza, dimestichezza delle procedure ma anche affabilità (i medici cubani sono, oltre che competenti, sorridenti, simpatici e disponibili!); oppure ancora saranno i dettagli, tanto curati e valorizzati, dai quadri appesi che ritraggono Torino nelle stanze dei pazienti, alle divise di ricambio per il personale sempre a disposizione. Il tutto contribuisce a determinare un clima di “stimolo al fare bene” e “farlo insieme”. Nonostante sia una struttura che ospita malati colpiti proprio da quel virus che sta mettendo in ginocchio un paese intero, e non solo, con il contorno di ansia e timori e allerta che necessariamente questa situazione porta con sé, alle OGR si lavora bene. Determinati ed organizzati. In questa cornice, poi, i risultati e le soddisfazioni professionali non mancano di certo; solo la settimana scorsa ho avuto uno dei più grossi “premi” professionali: un paziente che non parlava da mesi perché attaccato al respiratore e quindi costretto a comunicare solo tramite gesti o messaggi scritti, ha sentito di nuovo la sua voce e in quel momento ha realizzato che finalmente avrebbe potuto parlare coi suoi familiari in videochiamata! Certo non è ancora finita. Non è ancora dimesso. E’ un piccolo passo, ma è un passo. E’ il segno gratificante del lavoro combinato di tutti. Non sai mai cosa ti può regalare una giornata di lavoro: certi giorni sono buoni, altri più faticosi, ovvio. La cosa interessante che mi fa apprezzare particolarmente di far parte dell’équipe riabilitativa delle OGR è che il mio lavoro è importante. Vale la pena farlo perché è rilevato dagli altri operatori intorno a me (che non mancano di darmene feedback), ma più ancora vale la pena farlo per la gratitudine semplice che ti trasmettono quelle persone che dopo tanta sofferenza e paura, ritrovano la speranza.
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