Cultura
Il caso del collare dei Savoia, intervista con Anna Maria Bonavoglia
Com’era Torino nel 1892? Non la Torino dei Savoia e della Corte ma quella della fascia più povera della popolazione, quella del Casermone e degli Infernotti? Trovate la risposta in un avvincente racconto di Anna Maria Bonavoglia che risponde al titolo de Il caso del collare dei Savoia, Buendia Books.
Abbiamo una collana appartenuta ad Amedeo VI scomparsa ed un curioso personaggio che indaga per ritrovarla, un personaggio che si chiama Siger e che in una vita precedente rispondeva al nome di Sherlock Holmes. Trovate qui la recensione completa del libro.
Anna Maria Bonavoglia ha risposto alle mie domande.
La prima domanda è inevitabile: cosa ci fa Sherlock Holmes a Torino?
Secondo il Canone Sherlockiano (ossia l’insieme di regole, date ben precise e eventi che fanno parte del mondo creato da Sir Arthur Conan Doyle) c’è un periodo di circa tre anni in cui Sherlock Holmes dopo aver finto la sua morte alle cascate di Reichenbach, gira per l’Europa in incognito. Una delle sue mete è stata l’Italia, Firenze come afferma lui stesso dopo essere tornato in vita e in Inghilterra…
Ma nulla ci vieta di pensare che possa aver fatto anche un salto a Torino, città misteriosa e talvolta ombrosa come lui, capace di custodirne i segreti e di proteggerlo.
Diciamo che Torino è uno scenario meraviglioso per un personaggio bello e complicato come Sherlock.
Come è nata l’idea di questa storia?
E’ nata tanto tempo fa, in effetti.
Io lavoravo in via Corte d’Appello e ogni mattina per arrivarci passavo per le vie antiche e silenziose del centro storico. Ho cominciato a chiedermi quale fosse la storia di quelle vie e ho fatto ricerche, acquistato libri dove ho scoperto tutte le vicende della città, le sue origini, gli avvenimenti strani e misteriosi che si sono svolti e poi ho scoperto che proprio sulla via Stampatori, che attraversavo ogni giorno, sorgeva il famoso Casermone, che poi fu abbattuto agli inizi del novecento.
Il desiderio di scrivere una storia è nato allora, e visto che Casermone e Sherlock Holmes – un personaggio che adoro – erano coevi, mettersi a scrivere la loro storia è stato quasi inevitabile.
La Torino che racconti (con estrema precisione) è la Torino del Casermone e degli Infernotti, la Torino dello strato più povero della popolazione. Che spicchio di città era quello che racconti alla fine dell’800?
Io amo la storia, sia quella con la S maiuscola che studiamo sui libri e a scuola, ma anche quella con la s minuscola, fatta dalle piccole esistenze degli esseri umani, grandiosi nella loro lotta quotidiana per la vita. Per raccontarla sono andata in biblioteca a spulciare i giornali del tempo – quando ho iniziato a scriverla non c’era ancora internet – e a ritrovare quelle vite. Il Casermone era il centro di un gruppo di viuzze malfamate e pericolose ma piene di disperata voglia di vivere.
Sarebbe stato facile raccontare di sartine e studentini a passeggio mano nella mano per il Corso del Re (sono stata molto pignola anche per quel che riguarda gli antichi nomi delle vie) ma non era la storia che volevo raccontare.
Nel racconto ci sono riferimenti precisi anche al Duomo e alle strutture precedenti alla sua costruzione. Ci racconti qualcosa anche di questo?
Nelle mie ricerche sulla storia della città ho trovato un volumetto di che raccontava della Torino romana. E’ stato allora che ho scoperto con sorpresa della Triade Capitolina – siamo in piena area archeologica, in effetti la Porta Palatina è lì vicino – e di come i tre antichi templi romani siano in un certo senso le fondamenta delle tre chiese che a loro volta sono le basi dell’attuale Duomo.
Anche qui mi ha affascinato quello che c’era ed era grandioso un tempo e che poi, anno dopo anno dopo anno, è stato dimenticato per sempre.
Qual è il tuo rapporto con Torino?
E’ una città che amo immensamente, perché è colta, creativa, piena di sorprese e non si fa abbattere.
A quelli che dicono ‘a Torino inventate sempre cose nuove e sempre ve le lasciate rubare’ io rispondo: “Non c’è problema. Ne inventeremo delle altre.”
E poi è una città elegante, discreta e che permette alle idee di correre e costruire cattedrali di sogni .
E storie, come la mia, che nel loro piccolo, vogliono celebrarne la bellezza e il mistero.
Immagina una trasposizione cinematografica del tuo racconto. Quali attori ti piacerebbe interpretassero i tuoi personaggi?
Nel mio immaginario la figura di Sherlock Holmes è indissolubilmente legata a quella di Basil Rathbone, che ne fu interprete sommo in una serie di film tra gli anni trenta e quaranta del novecento, ed è a lui che ho pensato mentre scrivevo il mio racconto.
Ma se dovessi pensare ad un attore contemporaneo credo che sarebbe perfetto Peter Capaldi, un eccezionale attore scozzese che sicuramente darebbe un interpretazione da brivido, visto quanto è bravo.
E visto che stiamo sognando, nella parte di Barle de Foras sarebbe perfetto Daniel Craig, che non è francese ma ha degli incredibili occhi chiari e gelidi che sembrano davvero scrutare il tempo.
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