Cultura
Due volte Gala, intervista con Paola Caretti
Galatea arriva in condizioni disperate in ospedale. E’ in coma dopo un volo dal balcone. Si è lanciata o l’ha spinta il suo compagno che più volte ha usato violenza su di lei? Da qui parte Due volte Gala, il nuovo romanzo di Paola Caretti, Neos Edizioni.
Durante il coma però Gala vive una vita parallela. Si ritrova nel 1839, moglie di un signore benestante che la ama profondamente. La sua nuova condizione è privilegiata ma intorno a lei vivono donne in condizioni inaccettabili. Nella tenuta sulle montagne dell’Ossola Gala scopre donne sottomesse, senza diritti, senza possibilità di studiare o suonare il violino. Una condizione assolutamente frequente negli anni in cui in Europa si comincia a parlare di diritti delle donne. Una condizione che lei, donna del 2000, vittima di violenze ripetute, non può accettare. Trovate qui la recensione completa del libro.
Paola Caretti ha risposto alle mie domande.
Per trattare il tema della condizione della donna hai creato una protagonista che attraversa due secoli molto diversi. Come mai questa scelta?
Ho voluto raccontare l’evoluzione della mentalità femminile e della società, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, quando le donne iniziarono lentamente a risvegliarsi. I romanzi ambientati in quel periodo storico ci hanno riconsegnato eroine da feuilleton, ma io mi rifiuto di pensare che nell’800 fossimo capaci solo di fare figli, seguire come un’ombra i mariti e arrossire. C’erano donne all’avanguardia (che poi cercavano di internare in un istituto per malate di mente). Per capire a fondo l’epoca, e portare con me i lettori, dovevo finirci dentro con la testa e l’esperienza di una donna del terzo millennio. Ho persino provato a strizzarmi in vita un corsetto… è una vera tortura!
Hai scelto gli anni in cui si comincia a parlare di diritti delle donne, consapevolezza che però sulle montagne dell’Ossola non era certo ancora arrivata…
Le donne erano considerate i muli della montagna. Erano corpi senz’anima, costretti a sopportare fatiche inumane, che invecchiavano precocemente dopo aver perduto figli, lavorato la terra e allevato i figli sopravvissuti. Invece gli uomini erano sempre altrove, emigrati nelle città europee per cercare lavoro. Una condizione comune a tutto l’arco alpino. Volevo riconsegnare l’anima, i sentimenti, le sofferenze patite da queste donne, spesso descritte dai viaggiatori ottocenteschi come bestie da soma, rozze e irrazionali.
Nell’800 nessuna considerazione per le donne. Nel 2000 sulla carta la situazione è diversa ma assistiamo quotidianamente a soprusi e violenze in famiglia. C’è ancora tanta strada da fare?
La strada è lunga e guai se dovessimo credere di aver ottenuto tutti i diritti. Spesso di confonde la bellezza della differenza di genere, che è una ricchezza, con il diritto di essere libere da pregiudizi e sopraffazioni. Pensiamo solo alla quantità di donne lavoratrici in ruoli dirigenziali o al divario salariale. Se poi parliamo della piaga sociale del femminicidio, allora dobbiamo ricordare che il delitto d’onore in Italia, che prevedeva pene ridotte, è stato abrogato nel 1981. Solo una manciata di anni fa si giustificava un uomo che in stato d’ira uccideva una moglie o una figlia per salvaguardare il proprio buon nome.
Buona parte del romanzo è ambientato sulle montagne a nord ovest del Piemonte. Qual è il tuo rapporto con quelle terre?
Ai piedi delle montagne ci si sente protetti, il rapporto umano ha ancora un valore, così come il silenzio e il tempo lento, cose ormai rare. La lontananza dalla città è un ostacolo alle occasioni lavorative di qualità, ma ho scelto di vivere in e per queste terre.
La parte del romanzo ambientata nell’800 è piena di dettagli di vita quotidiana, con particolare attenzione ai cibi. Come hai approfondito questi temi?
Qualche anno fa ho ritrovato un ricettario, pubblicato a Vercelli nel 1790 (e poi anche a Torino), scritto da un autore della val d’Ossola. Ho scoperto ciò che si mangiava, le tecniche di coltivazione e allevamento e tante curiosità che mi sono rimaste impresse. Ho letto poi decine di libri e diari dei viaggiatori del Gran Tour che attraversavano le Alpi per arrivare in Italia e questo mi ha permesso di guardare dai finestrini delle loro carrozze.
Immagina una trasposizione cinematografica del tuo romanzo. Quali attori ti piacerebbe interpretassero i tuoi protagonisti?
Questo è un gioco divertente, quindi esagero. Immagino Gala interpretata da Noomi Rapace, il cui volto esprime fragilità e forza; per il ruolo di Felice Dellerio sarebbe perfetto Aaron Taylor-Johnson, per l’espressività dello sguardo. L’amica inglese non può essere che Emma Thompson, un mito.
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