Cultura
Guardati le spalle, intervista con Mario Nejrotti
E’ ambientato a Torino il nuovo romanzo di Mario Nejrotti che risponde al titolo di Guardati le spalle, Edizioni Tripla E. Anzi per la precisione è ambientato in Barriera di Milano, dove il protagonista Amilcare (per tutti Care, detto all’inglese) gestisce un bar.
A dire il vero lo gestisce senza particolare passione e soprattutto cerca di non mettersi nei guai. Non ha amici, non ha una donna, non ha ambizioni. E’ deluso dalla vita e ha l’unico obiettivo di sopravvivere fino alla morte. Ma quando fai di tutto per evitare i guai è normale che i guai vengano a cercare te. Intorno a Care e al suo bar ruotano una serie di personaggi speciali. Trovate la recensione completa del libro qui.
Mario Nejrotti ha risposto alle mie domande.
Guardati le spalle è un vero e proprio affresco di un quartiere dal punto di vista privilegiato di un bar. Come è nata questa vicenda?
È una storia nata per suggestione e anche per caso. Una mattina un po’ uggiosa sono andato in Barriera di Milano per un problema all’auto, in un’officina convenzionata con la mia assicurazione. Era un giorno di lavoro e mentre attendevo sono sfilate davanti ai miei occhi persone affaccendate, pensierose, preoccupate, alcune allegre che mi hanno incuriosito, in quel paesaggio di palazzoni più o meno grigi e nello stesso tempo in quell’atmosfera quasi di paese. Dovevo aspettare un po’ e così, come si fa in queste occasioni, per far passare il tempo, sono andato in un bar a prendere un caffè.
Appena entrato, una specchiera dietro il bancone e le bottiglie sugli scaffali, il barista che non mi aveva mai visto, mi ha salutato gentilmente, apostrofandomi con un cordialissimo: ”Buongiorno caro, che cosa ti servo?” Voce, aspetto, abbigliamento, occhi cerchiati, età indefinibile sui quaranta, aria vagamente triste e rassegnata: “Un caffè, lo prendo laggiù in fondo, grazie.” Ho risposto e la mia fantasia ha incominciato a lavorare e i miei occhi a osservare sfacciatamente chi entrava nel locale. Ascoltavo le chiacchiere di quelle persone sconosciute e mi sembrava di vedere in trasparenza le loro vite, le strade che li conducevano a casa e al lavoro. Tutto un quartiere che scorreva in quel bar, non bello, ma ricco di vita e di emozioni. E a tutti lui, il barista, non negava mai “un caro o una cara”. Credo che per il meccanico sia stato il lavoro più tranquillo di quella mattinata. Mi sono presentato da lui dopo oltre due ore: sui fogli del taccuino avevo l’abbozzo di “Guardati le spalle”.
Care è sconfitto dalla vita e sembra non avere più ambizioni. Come mai hai scelto un protagonista con queste caratteristiche non proprio da eroe?
Care è un uomo come tanti che vive la vita senza coglierla a pieno, senza credere che possa avere uno scopo. L’eroe puro, senza macchia e senza paura, è troppo poco umano. Nella realtà gli esseri umani spesso, molto spesso, sono segnati dalle loro esperienze e sofferenze, specialmente quelle infantili.
Molti trovano il modo di difendersi dal dolore, costruendosi intorno una corazza e lasciandosi scorrere addosso i giorni e gli anni nel tentativo di non soffrire più. Ci pensa la vita quasi sempre a costringerci ad una scelta tra due possibilità, restare dei vinti o decidere di reagire. Il vero eroismo, come si dice spesso , non sta nel non conoscere la paura, ma nello sconfiggerla. E Care dal profondo del suo Far West di sceriffi e pistoleri, cercherà la forza per uccidere i suoi fantasmi e forse da comportarsi da eroe.
Intorno a lui ruotano un sacco di personaggi di cui ci racconti praticamente tutto. Un modo per raccontare il quartiere?
I personaggi, chiamiamoli comprimari, altrimenti si offendono…, in questo romanzo hanno almeno due funzioni. La prima di far risaltare la personalità di Care attraverso le loro storie: la sua capacità di provare amicizia, anche contro se stesso, per Steu, l’ubriacone, o Anna la libraria, che si è persa nel suo dolore. La sua ironia, nell’avvicinarsi a chi lo tiene agganciato alle sue passioni per i film western, come Profeta, che ricorda il vecchietto di Per qualche dollaro in più e come il vecchio Professor Pastore. La seconda di animare un quartiere difficile che ha dovuto fare i conti con la crisi di tutta una città e di tutto un sistema di valori. I personaggi sono tristi e sconfitti come possono esserlo le vecchie fabbriche e i grandi parcheggi vuoti e grigi che trovi girando per quelle strade, scenario di storie di uomini e di donne che sono il prodotto di una trasformazione sociale, che non fa sconti, ma che lascia sempre aperta la porta alla speranza di riscatto e di rivincita. Su tutti da un lato la figura del padre, che compare solo nei ricordi di Care, causa e soluzione della sua convinzione di essere un vigliacco. Dall’altro Deborah una ragazza normale di quartiere, che vive le difficoltà della gioventù di questo inizio di terzo millennio e che è l’inconsapevole molla del riscatto del barista. E poi ci sono i cattivi della ‘ndrangheta, della camorra e della polizia, ci sono le prostitute, i loro sfruttatori e i loro innamorati, tutti drammaticamente coinvolti in una disperata lotta per la sopravvivenza. Esseri umani che il romanzo non giudica, ma osserva mentre fanno le loro scelte e costruiscono il loro inevitabile destino.
Qual è il tuo rapporto con Torino e con la periferia nord della città?
Io sono nato a Torino e ho attraversato le sue grandi trasformazioni. Da città fabbrica asservita, ma anche protetta dalla FIAT, al tentativo di trasformarsi in altro e diversificare le possibilità del suo sviluppo, specie con il turismo. Non è il mio primo romanzo che parla della città, anche in Fino all’ultima Bugia, avevo decritto le passioni e le contraddizioni di un altro quartiere difficile: San Salvario.
Credo di essere affascinato da Torino, e dalla sua storia non lineare. Naturalmente soprattutto nelle periferie, risulta più evidente il prezzo che la città ha dovuto pagare per imboccare strade nuove. Su tutto il problema dei nuovi immigrati, della corruzione e della malavita organizzata.
Camorra, ‘ndrangheta, corruzione, spaccio. La Torino di oggi è questa?
Sarebbe certamente riduttivo e farebbe torto ai tanti cittadini di Torino che vivono un’esistenza onesta, anche se difficile. Ma le contraddizioni di questa, come di altre grandi città, al Nord e al Sud del nostro Paese sono evidenti. L’infiltrazione nelle attività produttive e lo spaccio di droga, fonte primaria di guadagno per la criminalità organizzata, prosperano nelle metropoli più che nei piccoli centri. Torino però è anche slancio, idee, innovazione, accoglienza, partecipazione e queste sue qualità sono il miglior argine contro le forze negative.
Immagina la trasposizione cinematografica del romanzo. Quali attori ti piacerebbe interpretassero i tuoi personaggi?
Veder trasformare una mia storia in un film o in una fiction per me sarebbe un grande divertimento.
Questo romanzo potrebbe essere trasformato in un soggetto. Certamente l’interprete di Care dovrebbe mettere in luce tutta la sua angoscia, la sua ossessiva ricerca dell’eroismo, nella finzione cinematografica dei film western e tutto il suo vero coraggio nella volontà di contrastare chi vuole sfruttare la sua ragazza. Un attore come Valerio Mastrandrea sarebbe molto adatto, a mio parere, per interpretare i due volti di Care. La parte di Deborah mi sembra fatta apposta per la Sarah Felberbaum, per il viso dolce e deciso allo stesso tempo.
Vedrei bene nel ruolo di Anna, la libraia coraggiosa e disperata, o Laura Morante o Licia Maglietta. Infine suggerirei Roberto Battiston per Steu. Gli altri attori li lascerei scegliere ad un buon casting e al regista che vorrà realizzarlo.
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