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Cultura

I miracoli del sangue, intervista con Maurizio Roccato

Gabriele Farina

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Proabilmente molti di voi ricorderanno l’episodio: ne parlammo più volte anche su Quotidiano Piemontese. Era il 10 ottobre 2013 e in una scatola lasciata su una panchina al Cimitero Monumentale di Torino vennero ritrovate ossa umane. L’episodio impegnò gli investigatori per mesi ma non trovò soluzione. Maurizio Roccato ha preso spunto da questo caso effettivamente sorprendente per il suo I miracoli del sangue, Intrecci Edizioni.

Da qui parte infatti il romanzo, che poi però unisce questo mistero ad uno ancora più grosso e storico: il mitico treno nazista carico di oro e opere d’arte rubate che sarebbe nascosto da qualche parte in Polonia. Nel 2015 sembrò perfino che quel treno fosse stato ritrovato. Ora, vi potete rendere conto facilmente che partendo da queste due vicende possa venir fuori un’avventura davvero interessante. Trovate qui la recensione integrale del libro.

Maurizio Roccato ha risposto alle mie domande.

La tua vicenda prende spunto da un episodio molto curioso accaduto a Torino e mai effettivamente risolto. Cosa ti ha colpito di questa vicenda e come hai approfondito la questione prima di scrivere il romanzo?

L’ho vissuta praticamente in diretta il 10 ottobre 2013. Quella mattina, su una panchina antistante il cimitero monumentale di Torino, era stata trovata la scatola di una vecchia pasticceria del centro non più esistente da anni. Al suo interno erano contenute diverse ossa umane avvolte in una pagina della “Stampa Sera” del 1963 che riportava l’articolo su un delitto tuttora insoluto. I resti erano incisi con strani simboli e ricoperti da cera fusa, che faceva supporre il loro l’utilizzo in un rituale satanico. Nessun indizio. Nessuna spiegazione. Il giallo era praticamente servito, eventi come questo sono manna per i romanzieri, bastava costruire la trama adeguata.
Tra le altre cose è stata proprio Quotidiano Piemontese la prima testata dalla quale ho appreso la notizia e grazie alla quale ho potuto approfondire i dettagli seguendo gli aggiornamenti di cronaca nei tempi successivi. Infatti ho aspettato alcuni anni prima di scrivere il romanzo, nell’attesa – però non nella speranza! – che la questione si risolvesse.

Nella storia hai poi inserito un altro mito di dimensioni ancora più ampie. Cosa si sa effettivamente del treno nazista che nasconderebbe immensi tesori rubati?

Anche questo argomento negli ultimi anni è stato al centro delle cronache mondiali. Il regime hitleriano, al fine di finanziare la guerra, aveva sempre saccheggiato i beni delle proprie vittime, che venivano depositati presso i conti e le camere blindate della Reichsbank. Da lì, però, l’immenso patrimonio liquido era stato caricato su convogli ferroviari e spostato alle prime avvisaglie della imminente caduta della Germania. Quando questa era avvenuta tutti si erano messi alla ricerca del tesoro nazista: in Germania orientale la Stasi aveva istituito un gruppo operativo dedicato, e similmente avevano fatto i colleghi americani del CIC, precursore della CIA, e quelli del KGB russo. Questi erano riusciti a recuperare il cinquanta per cento dei depositi, ma la restante parte non era mai stato ritrovata. Secondo più di una fonte sarebbe stata interamente o parzialmente trasferita su uno dei treni partiti la notte del 12 febbraio 1945 da Breslavia sparito poi nel nulla con un carico che non comprendeva solo decine di tonnellate di oro e preziosi, ma anche centinaia di opere d’arte e reliquie, per le quali Hitler nutriva una vera ossessione.

Le due storie si uniscono nel tuo romanzo che parte come un giallo per poi diventare un vero e proprio romanzo d’avventura. Come è nata la storia?

Cerco sempre di creare trame che si rifacciano a fatti storici o eventi di cronaca reali, perché tale richiamo rende la narrazione più credibile e quindi più coinvolgente per il lettore. Il ritrovamento delle ossa sulla panchina di corso Novara e la ricerca del treno nazista potevano comodamente avere un denominatore comune, al di là della collocazione geografica e dell’epoca differenti. Entrambi vicende reali, erano così intriganti da meritare doppia attenzione perché suscitano grande curiosità visto che sono tuttora contornate da un alone di mistero.

Tutto parte da Torino e dai tanti misteri che nasconde. Qual è il tuo rapporto con la città?

Ho vissuto Torino per alcuni anni all’epoca dell’università e ne sono rimasto affascinato. Non è solo la tradizione esoterica e le numerose leggende riguardo il suo passato a renderla particolare, è proprio l’atmosfera che ho respirato negli anni che l’ha fatta diventare per me un riferimento importante, non solo dal punto di vista letterario. Pur vivendo a Vercelli e lavorando al confine tra le due province torno spesso in città, e la sensazione e le suggestioni che provo sono sempre le stesse. Infatti questo è il secondo romanzo che la utilizza come scenario.

Il tuo protagonista si chiama Giordano Bruno. Non è un nome come un altro. Perchè l’hai scelto?

Per esigenze narrative volevo un protagonista autoctono, che conoscesse bene la città, la sua storia e il territorio. Bruno è un cognome tipicamente piemontese, al quale ho associato il nome Giordano perché rispecchiava bene sia l’irrequietezza e il carattere del personaggio sia la sua coerenza. Così come il filosofo domenicano cinquecentesco aveva accettato la condanna al rogo per mantenere fede alle proprie posizioni, anche il giornalista che anima la trama del mio romanzo non è disposto a scendere a compromessi per far luce sulla vicenda in cui si trova coinvolto.

Ho personalmente molto apprezzato la copertina, davvero potente. Come è stata scelta?

L’ho immaginata e realizzata quasi di getto, all’editore è piaciuta subito. Doveva contenere i punti di forza del romanzo e trasmettere un’idea inquietante degli eventi e degli scenari in cui si svolge la vicenda. E con un treno a vapore in corsa che ti piomba addosso, l’impatto era assicurato!

(Se avete voglia di incontrare Maurizio Roccato e fare due chiacchiere sul libro, avrò il piacere di discutere con lui alla Libreria Belgravia di Torino, via Vicoforte 14/D, giovedì 18 luglio alle 18.30)

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