Cultura
Naufragi al MAU
Venerdì 15 marzo 2019, dalle 18.30 alle 21.30, presso la Galleria del Museo d’Arte Urbana, via Rocciamelone 7 c Torino, si inaugura la mostra collettiva “Naufragi”, a cura di Daniele D’Antonio e Edoardo Di Mauro.
Con opere di Vadis Bertaglia, Hector Mono Carrasco, Daniele D’Antonio, Davide Fasolo, Vincenzo Fiorito, Marco Martz, Opiemme, la mostra rimarrà aperta fino al 15 aprile, lunedì 17-19 o su appuntamento.
La mostra è inserita nell’edizione 2019 di “Torino che legge”
“Non i naufragi, ma QUEI naufragi.
Mi è capitato, nel mio girovagare tra gli studi degli artisti che frequento, di scoprire che alcuni di loro lungo la strada dei loro percorsi artistici, e indipendentemente dagli altri, si sono imbattuti su questo tema, ognuno secondo le proprie sensibilità e forme espressive.
E’ un tema pesante, che induce alla riflessione, ma che solleva contemporaneamente interrogativi di ordine etico, sociale e interiore.
Ho voluto questa mostra, al di là della tragica attualità del tema, proprio per enfatizzare questa sollecitazione che da ognuna delle opere degli artisti chiamati a raccolta emerge e ci viene sbattuta sulla faccia, senza filtri, senza mezze misure, senza tener conto dell’ante e in assenza di un post.
Il naufragio, rappresentato come la cesura, netta e definitiva, di un percorso, dalle mille origini e dalle mille aspettative.
Nelle opere raccolte non si parla di un “da dove”, non ci si interroga su un “perchè”: lasciamo ad altra sede questo dibattito.
In questa mostra si prende atto del momento in cui l’Umanità protagonista della storia vede la storia stessa interrompersi, col passaggio da un ventaglio di possibilità future, elemento che governa qualsiasi evento umano, alla soluzione univoca e definitiva, che pone fine alla storia, alle migliaia di storie.
Allora, vien da chiedersi, questi naufragi (QUESTI naufragi) sono da considerarsi unicamente come la rappresentazione tragica di un evento che coinvolge quegli uomini e donne (QUEGLI uomini e donne) o, per contro, sono anche l’espressione fisica, tangibile del nostro naufragare non solamente etico, ma anche interiore, espresso con l’accettazione passiva di una concomitanza di fattori che interrompe il percorso di ognuno di noi?
NAUFRAGI non è una rassegna descrittiva o documentale, ma è una presa d’atto cui segue una domanda.
Noi non siamo su un barcone, non verremo inghiottiti dalle acque di un mare che prima ci ha promesso la salvezza ed ora è complice ed esecutore materiale, seppur non mandante, della nostra sconfitta, ma il nostro naufragio quando è avvenuto? Siamo riusciti a trovare un relitto al quale aggrapparci o siamo finiti in fondo ad un mare pure noi?”
(danieled’antonio)
Il tema proposto da Daniele D’Antonio ad una serie di artisti particolarmente inclini alla riflessione ed all’impegno sociale come Vadis Bertaglia, Mono Carrasco, Davide Fasolo, Vincenzo Fiorito, Marco Martz, Opiemme, come dallo stesso D’Antonio evidenziato nel suo importante testo introduttivo, ha la duplice valenza di creare attenzione sul naufragio inteso dal punto di vista della tragica sorte spettante a molti migranti, ma anche di confermare, per l’ennesima volta, la condizione di stasi e liquidità dell’attuale fase storica e sociale, in cui l’arte faticosamente viaggia alla ricerca, non ancora completata, di un nuovo approdo, al di là delle secche di un sistema globalizzato che ha davvero concretizzato il timore delle avanguardie novecentesche della mutazione della produzione artistica in merce di altissimo rango.
La storia, come incedere progressivo dei destini umani verso nuovi orizzonti, pare finita ma non può esserlo : spetta all’arte, più che a tutto il resto, mantenere intatta la speranza di un futuro, cercando di condurre una distratta e superficiale umanità in mare aperto, a sfidare la tempesta del presente, per raggiungere un nuovo approdo.
Ad integrazione delle riflessioni di Daniele D’Antonio, ed in doveroso omaggio dell’iconografia prevalente nelle opere degli artisti presenti in mostra, riprendendo alcune mie recenti riflessioni, vorrei soffermarmi su di un tema strettamente correlato alla logica del naufragio come il viaggio, nella sua stringente attualità relativa alle vicende di quella folla di uomini, donne e bambini costretta, tra paure e tensioni, ad intraprendere percorsi densi di pericolo e sofferenza per un nuovo approdo in terre considerate sicure, dove tentare di costruire una nuova esistenza.
Gli uomini dell’Occidente non dovrebbero lamentarsi troppo dei disagi derivanti da questo stato di cose.
Si tratta delle conseguenze inevitabili della dissennata gestione geopolitica del Medio Oriente, originata addirittura dai trattati di pace seguenti la fine della Prima Guerra Mondiale che generarono il secondo conflitto, a cui va sommata anche una fuori uscita sbagliata dal colonialismo, dove la giusta emancipazione del Terzo Mondo dal dominio europeo non ha avuto gli esiti auspicati per l’ascesa al potere di oligarchie corrotte sempre al servizio di interessi stranieri.
Chi scrive sin dall’infanzia ha ascoltato storie familiari centrate su questi temi.
Sono figlio di genitori italiani e greci nati ad Alessandria d’Egitto, dove i primi emigrarono per contribuire alla costruzione del Canale di Suez, la parte greca invece a seguito del massacro di Smirne operato nel 1922 dall’esercito turco. Il clima difficile per gli europei dopo la crisi politica del 1956, indusse la maggior parte di loro, compresi i miei, a rientrate nei paesi di origine, sradicandosi da quella che era vissuta ormai da molti decenni come la propria casa.
Quindi, anche se vissuta indirettamente, la tematica della fuga, della itineranza, e del viaggio come approdo ad un rifugio, è componente fondamentale della mia vita, cosa che mi porta a solidarizzare e comprendere le ragioni di chi si trova attualmente in questa condizione, in una dimensione certamente più precaria e drammatica.
Conosco anche la volontà di riscatto, la determinazione nel cercare di inserirsi nel nuovo contesto che, nel mio caso, ha trovato uno sbocco professionale all’ interno del mondo variegato, stimolante, contraddittorio ma fondamentale dell’arte contemporanea.
Il tema del viaggio, per qualsiasi motivo esso venga intrapreso, è intimamente connesso al concetto ed alla pratica dell’arte sin da tempi remoti, e corrisponde ad un’effettiva esigenza antropologica di rappresentazione dell’ ”altrove”.
Il viaggio è un vero e proprio archetipo letterario ed artistico, una metafora in cui si possono rintracciare vari elementi strutturali come l’avventura, la memoria del passato e l’ansiosa e trepida speranza di futuro, sospese nel blocco temporale del “qui ed ora”, nell’incedere del cammino, ed anche nel fascino e la paura implicite all’esplorazione di luoghi sconosciuti connessi al desiderio di ritorno.
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