Cultura
Primo Levi e il piemontese, intervista con Bruno Villata
Quello che andiamo a presentarvi è un libro che sappiamo interesserà molti dei nostri lettori, amanti delle nostre terre e della lingua piemontese. Si tratta di Primo Levi e il piemontese – La lingua de la chiave a stella e porta la prestigiosa firma del professor Bruno Villata.
Villata, torinese di nascita e studioso della lingua, vive e insegna da anni in Canada, dove è professore emerito presso la Concordia University di Montreal. Al suo attivo ha una trentina di libri che riguardano la lingua dei nostri territori e quest’ultimo lavoro, Edizioni Savej, è una vera chicca. Come ha utilizzato la lingua piemontese Primo Levi nel suo “La chiave a stella”? La risposta di Villata è dettagliata, precisa. Ad un’introduzione che spiega il volume seguono una serie di capitoli in cui l’autore analizza le varie parole di estrazione piemontese che compaiono nel testo: quelle non riportate dai dizionari, quelle riportate ma usate con significati diversi e così via…
Vuol dire che Primo Levi ha inventato un piemontese tutto suo da far utilizzare al suo Libertino Faussone? Tutt’altro, fa notare Villata, si tratta proprio del piemontese utilizzato spesso nella nostra regione negli anni ’70, anni in cui la lingua stava definitivamente fondendosi con l’italiano che la televisione aveva ormai portato con forza nelle nostre case.
Prima di leggere le risposte che il professor Villata ha dato alle mie domande sul libro, vi segnalo anche la Rivista Savej, interessante porgetto parallelo a quello delle Edizioni Savej, entrambe nate sotto l’egida della Fondazione Enrico Eandi. Dategli uno sguardo perchè è piena di spunti interessanti.
Professor Villata, dopo tanti studi e lavori dedicati alla lingua piemontese, ha sentito ancora il bisogno di dedicarne uno al particolare piemontese utilizzato da Primo Levi nel suo “La chiave a stella”. Come mai?
Il fenomeno delle lingue in contatto aveva già attirato l’attenzione di viaggiatori che si erano recati in paesi di forte emigrazione italiana quali l’Argentina e gli Stati Uniti. Alcuni di quesiti viaggiatori furono sorpresi dal modo in cui i figli degli emigrati passavano da una lingua all’altra, mentre altri viaggiatori biasimavano gli emigranti che parlavano un italiano scorretto. Ne La Chiave a Stella, Primo Levi mette in bocca al protagonista Libertino Faussone delle parole quasi simili, ma che speso nell’altra lingua hanno un significato diverso. E spesso per capiire il senso bisogna conoscere le lingue straniere.
Quando ho letto La Chiave a Stella, benché non fosse un testo scientifico , vi notai molte caratteristiche tipiche delle situazioni delle lingue in contatto.
Levi ha spesso detto di non parlare il piemontese, eppure leggendo il suo lavoro è evidente che lo conoscesse decisamente bene…
Per quanto riguarda la competenza del piemontese bisogna dire che Primo Levi doveva conoscerlo molto bene e quindi bisogna credere a quanto aveva detto del piemontese: Amo questo diaetto è il mio, quello della mia infanzia, mio nonno l’usava con mia madre e mia madre con i bottegai. Non si puo’ non credere a una simile affermazione corroborata da un’opera quale ‘La chiave a stella.
Il suo è uno studio dettagliato, alla scoperta delle singole parole, dei termini, delle frasi utilizzate nel libro. Ha voglia di segnalarci un paio di utilizzi particolari fatti da Levi?
Primo Levi mette in bocca a Faussone delle parole che hanno sigificato diverso. Per esempio nel digramma mangia male, male si riferisce al russo malo, pronunciato mala che in italiano significa poco. Quindi per capire bene tutte le parole oltre al piemontese e l’italiano bosgna capire altre lingue. È difficile trovare pubblicazioni quali La chiave a stella, mentre si possono trovare delle pubblicazioni nelle parlate locali degli oriundi italiani.
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