Cultura
Bray lascia la presidenza del Circolo dei Lettori. Lagioia: il Salone del libro non si ferma
La notizia comunicata ieri da Massimiliano Bray di voler lasciare la presidenza del Circolo dei Lettori, che da quest’anno è l’ente deputato ad organizzare il Salone del Libro di Torino, ha scatenato nuove preoccupazioni sul futuro del Salone.
Il direttere Nicola Lagioia ha deciso di intervenire sul tema con un lungo e dettagliato post su facebook.
Che succede al Salone del Libro di Torino?
Come avete letto dai giornali nazionali, #MassimoBray ha deciso di lasciare la presidenza del Circolo dei Lettori, la struttura a cui il Comune di Torino e la Regione Piemonte stanno dando l’incarico di organizzare il Salone del Libro. Mi dispiace molto, con Bray abbiamo lavorato bene, rispetto i “motivi personali”, non so bene quali siano, ma capisco eventualmente che lo stress di questi due anni, così pieni di ostacoli, possa non essere stato un compagno di viaggio ideale. Ovviamente il Salone non si ferma.
Visto che il tema è di importanza nazionale e non solo, e che in molti mi stanno telefonando per sapere che succede, faccio prima qui a riassumere la situazione che a rispondere a 1000 telefonate e messaggini.
Ricapitoliamo. Ci hanno chiamato a occuparci del Salone quando il Salone veniva dato per finito, con molti editori che erano già migrati verso la fiera di Milano. A Torino molti in città ritenevano fosse una missione impossibile. In due anni (lavorando giorno e notte) abbiamo totalmente ribaltato la situazione e i pronostici. Il Salone ha fatto numeri da record. Gli editori che erano andati via sono tornati. Della qualità del programma culturale hanno parlato anche all’estero. Da non trascurare ovviamente anche la ricaduta economica in città di una manifestazione che mobilita quasi 200mila persone: ristoranti, alberghi, taxi, e tutto ciò che è legato al turismo.
Avevo chiesto alla sindaca di Torino #Appendino, al presidente della Regione #Chiamparino e a Bray, per riuscire in questa impresa così complicata, una sola condizione: che la squadra del Salone fosse totalmente indipendente, e potesse lavorare in assoluta autonomia, rispondendo solo a logiche culturali. Ricordo che la prima cosa che dissi appena arrivato fu: “vorrei affidare il manifesto del Salone a #Gipi, provare a invitare subito il premio Nobel #SvetlanaAleksievic a tenere una lezione in città, e chiamare i librai indipendenti, le scuole, le biblioteche a darci una mano. Lasciateci lavorare e vedrete che li convinceremo. Vedrete che se iniziamo così si spargerà la voce di un preciso disegno culturale, e poi arriverà magari #HertaMuller, arriverà #SalmanRushdie, arriverà #BernardoBertolucci, arriverà #EdgarMorin ecc.” Tutte cose che poi sono successe e continuano a succedere.
Devo ringraziare Appendino, Chiamparino e Bray perché quella fiducia ce l’hanno data. Non era affatto scontato. E noi (credo e spero) abbiamo ricambiato.
Detto ciò, ci siamo trovati in una complicata situazione di transito. La vecchia Fondazione che aveva organizzato il Salone nei 20 anni precedenti, gravata dai debiti passati, era in liquidazione. Questo voleva dire che il marchio passava in mano al liquidatore (che lo avrebbe rivenduto), e noi che lavoriamo al Salone ci saremmo trovati temporaneamente senza un contratto in attesa che tutte le procedure burocratiche (che non sono finite) ci facessero transitare da una struttura all’altra.
Questo significa che a giugno ci siamo trovati senza contratti, dunque senza stipendi, e con gli asset (marchio ecc.) da recuperare. Due erano a quel punto le alternative. O dire: “ok, noi ci mettiamo a fare altro, ce ne andiamo in vacanza, e quando i contratti sono pronti ci chiamate, sempre se ci saremo”. Ma questo avrebbe significato compromettere l’organizzazione dell’edizione del 2019 (che si terrà dal 9 al 13 maggio).
Oppure, ed è quello che abbiamo fatto, metterci subito a lavorare (da giugno) senza contratti, senza stipendi e senza niente. Ovviamente le istituzioni torinesi e piemontesi non potevano chiederci un simile sacrificio. Siamo stati noi, di nostra spontanea volontà, a farlo. Questa estate abbiamo dunque cominciato a contattare editori, autori, a incontrare a fare riunioni su riunioni su riunioni. E in questo momento l’edizione del 2019 ha già un tema, dei sottotemi, un paese ospite (no, non c’entra niente l’Iran, su cui pure i giornali hanno sollevato polemiche, e io a dire “signori, siete fuori strada, per quest’anno come per il prossimo…”), un’articolazione che, per diventare operativa, aspetta appunto che Comune e Regione completino l’iter burocratico.
Vorrei dunque rassicurare tutti. Anche quelli che (ieri) hanno scritto sui giornali che io sarei tentennante. Ma proprio per niente. Proprio l’altro ieri ho rifiutato due allettanti proposte di lavoro per continuare a scommettere su Torino. Lo stesso hanno fatto altri membri della squadra. La squadra magnifica del Saloon che non smetterò mai di ringraziare.
Siamo dunque dei pazzi? Siamo dunque degli eroi? No, sentiamo semplicemente, molto forte, il senso di responsabilità. Il Salone è un patrimonio nazionale, un patrimonio europeo, negli ultimi anni è diventato anche un formidabile laboratorio culturale, è la più importante fiera dell’editoria di un paese in cui si legge poco, perderlo significherebbe creare un danno enorme a Torino e all’Italia della cultura e dell’editoria, e per tutta la vita non staremmo stati in pace con la coscienza se avessimo mollato in un momento di difficoltà.
A noi basta avere (le abbiamo appena avute) le rassicurazioni dalla sindaca Appendino e dal presidente Chiamparino. I quali dicono in sostanza (oltre alla garanzia di indipendenza): stringete ancora un po’ i denti, le procedure burocratiche stanno andando avanti, tra poche settimane tutto sarà di nuovo operativo anche sul piano formale.
Oltre a questo, ci basta avere la vicinanza di tutti gli editori e di tutti quanti voi. Vi ringrazio. E ringrazio la squadra del Salone, che ancora una volta, nelle difficoltà, sta dimostrando una generosità, un coraggio, un senso del sacrificio e della responsabilità molto rari in questo paese. In attesa ovviamente che (dopo due anni e mezzo così) inizieremo a lavorare anche con tranquillità. Credo che ce lo meritiamo, no?
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