Scienza e Tecnologia
Si sperimenta a Torino un software che verifica lo stato di coscienza dei pazienti in stato vegetativo post coma
Si sta sperimentando a Torino un software in grado di verificare la presenza di uno stato di coscienza in pazienti in stato vegetativo o comatoso, grazie ad una interfaccia cervello – computer che possa permettere ai medici di diagnosticare la presenza di uno stato di coscienza in pazienti non responsivi, cioè in quei pazienti che usciti dal coma sembrano non rispondere più agli stimoli esterni. L’obiettivo di sviluppare un’interfaccia che permetta di rilevare le intenzioni motorie dei pazienti senza considerare i movimenti più o meno visibili.
Ha preso il via il progetto scientifico “Interfaccia Neurale per valutare il livello di coscienza dei pazienti non responsivi e favorirne la comunicazione con l’esterno”, coordinato dal Centro Puzzle e cofinanziato dalla Fondazione Cassa Risparmio di Torino (CRT). Il progetto ha l’obiettivo di sviluppare un software in grado di verificare la presenza di uno stato di coscienza in pazienti post-coma che non riescono a comunicare. La strumentazione della ditta EB Neuro è stata fornita dalla ditta piemontese Viglia s.r.l..
Il gruppo di ricerca del Centro Puzzle (che collabora con l’ospedale Cto e l’Unità Spinale Unipolare della Città della Salute di Torino), grazie ad un cofinanziamento della Cassa di Risparmio di Torino, sotto la guida della dottoressa Marina Zettin, ha iniziato a sviluppare un’interfaccia cervello-computer per permettere ai medici di diagnosticare la presenza di coscienza in pazienti non responsivi, cioè in quei pazienti che, usciti dal coma, sembrano non rispondere più ad alcuno stimolo. Il progetto è stato ideato dal dottor Vito De Feo ed è svolto in collaborazione con il Neural Computation Laboratory dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Rovereto (diretto dal professor Stefano Panzeri), con il Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, che partecipa tramite il gruppo di ricerca della professoressa Gabriella Olmo, e con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, che partecipa tramite il gruppo di ricerca diretto dal professor Giuliano Geminiani.
A seguito di importanti eventi traumatici (per il 40% incidenti stradali), vascolari (es.: ictus o emorragia cerebrale), anossici o infettivi, il cervello può andare incontro a severi danni, che spesso conducono al coma.
Duecentociquantamila persone ogni anno entrano in coma a seguito di incidenti, intossicazioni o malattie. Il coma, tuttavia, rappresenta solo una condizione transitoria. Alcuni pazienti non riescono a superare la fase acuta e muoiono. Altri, invece, dopo alcuni giorni o qualche settimana, si risvegliano. I più fortunati, circa un soggetto ogni tre, recuperano completamente lo stato di coscienza. Gli altri pazienti, invece, passano dal coma ad una serie di condizioni cliniche identificate come Stato Vegetativo (SV), in cui la coscienza è totalmente assente, e Stato di minima coscienza (SMC), dove, invece, c’è uno stato emergente di coscienza, spesso molto difficile da diagnosticare. Mentre i pazienti in coma non riescono a svegliarsi, i pazienti in SV e SMC recuperano la vigilanza, ovvero riaprono gli occhi e alcuni riflessi involontari. Fino a qualche anno fa si riteneva che tutti i pazienti usciti dal coma, che non erano responsivi, fossero in SV, privi totalmente di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sono accumulate le evidenze di presenza di coscienza anche in pazienti non responsivi, rivelando una elevata incidenza di errore diagnostico. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che ben il 43% dei pazienti oggi diagnosticati come SV, pur avendo recuperato lo stato di coscienza, non riescano a manifestare alcun segno di presenza di coscienza durante i test diagnostici. Il motivo è che questi test si basano unicamente su risposte motorie a comandi verbali e i pazienti in SV, spesso soffrono di una totale paralisi che include anche il battito palpebrale ed i movimenti oculari.
La dottoressa Zettin ed il suo gruppo di ricerca, tra cui il dottor Danilo Dimitri, vogliono rispondere all’esigenza di riuscire a sviluppare un’interfaccia cervello-computer che permetta di rilevare, grazie a misurazioni non invasive, come quelle elettroencefaliche ed elettromiografiche, le intenzioni motorie di questi pazienti indipendentemente dal fatto che producano o meno un movimento visibile all’esaminatore. L’ipotesi progettuale presuppone che le persone con basso grado di coscienza siano in grado di pianificare i movimenti richiesti dall’esterno, ma non siano in grado di eseguirli correttamente. Grazie ad un innovativo metodo di analisi di questi segnali elettrofisiologici, cercheranno di isolare e classificare i cosiddetti potenziali elettrici di prontezza, usati per la prima volta in pazienti non responsivi. L’analisi di questi segnali permetterebbe di distinguere tra movimenti totalmente inconsapevoli (es. riflessi) e movimenti intenzionali rivelando la presenza di intenzione e coscienza. L’obiettivo principale è quello di sviluppare un’interfaccia cervello-computer in grado di fornire ulteriori dettagli diagnostici che possano rilevare gradi di coscienza in pazienti non responsivi, attraverso la realizzazione di un software dedicato. Il programma computerizzato consentirà l’analisi di specifici parametri elettrofisiologici (Elettroencefalografia, EEG) ed elettromiografici (Elettromiografia, EMG), per distinguere i movimenti intenzionali da quelli riflessi. L’interfaccia progettata, non solo permetterebbe una migliore diagnosi nelle realtà cliniche, ma consentirebbe anche ai pazienti stessi di comunicare semplici intenzioni (es. “sì”, “no”) al personale medico, aumentando considerevolmente la loro qualità di vita e l’efficacia delle terapie neuro-riabilitative. Attualmente sono state concluse le operazioni di creazione del paradigma sperimentale e del software, mentre l’applicazione sperimentale è in corso di svolgimento presso il Centro Puzzle.
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