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Cultura

Così non vale, intervista con Claudio Secci e Eva Muzzupappa

Gabriele Farina

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Un libro sulla dipendenza da gioco d’azzardo e sulla difficoltà (come capita per ogni dipendenza) di venirne fuori da soli (e spesso anche accompagnati). Questo è Così non vale di Claudio Secci e Eva Muzzupappa, Edizioni della Goccia.

Entrambi torinesi, Secci e Muzzupappa affrontano il tema con due tecniche diverse: il racconto per Secci, che è scrittore, e il saggio per Muzzupappa, che è psicologa. Ne viene fuori un libro godibile dal punto di vista narrativo ed un’interessante e utile introduzione al problema dal punto di vista medico e sociologico. Trovate la recensione integrale del libro qui.

Claudio Secci e Eva Muzzupappa hanno gentilmente risposto alle nostre domande.


Un tema non certo facile e poco frequentemente trattato quantomeno dal punto di vista del racconto letterario. Come è nata la necessità di affrontarlo?

Claudio: In effetti la sfida maggiore è stata quella di romanzare situazioni che sono più avvezze a saggi, documentari e reportage. Questo libro non è stata una necessità ma un’opportunità: la pura e semplice unione di competenze, quella narrativa da parte mia e quella clinica da parte della dr.ssa. Ho sempre scritto libri di tipologia differente, questo proseguio di percorso didattico dopo “Dammi la mano” è un volermi mettere in gioco un pò allo sportello, cercare di dimostrare che anche argomenti protagonista di cronaca, spesso purtroppo nera, possono essere trasmessi attraverso un romanzo cercando nel contempo di inviare un messaggio di speranza e positività.

Prima di cimentarti nella scrittura hai naturalmente fatto diverse ricerche. Ti sei trovato di fronte quello che ti aspettavi o una situazione diversa?

Claudio: Si ho purtroppo la paranoia di dover essere estremamente attendibile nei libri che pubblico, pertanto, così come mi è accaduto da poco durante la composizione del libro di fantascienza, ho dovuto fare delle ricerche ed ho dovuto documentarmi. Essendo i romanzi la mia parte in questo libro, per quanto riguarda le reazioni e le sensazioni di chi purtroppo cade in questo problema ho dovuto ascoltare esperienze ed osservare certi iter dei giocatori, in maniera più approfondita e con un occhio diverso rispetto a come li guardavo di solito nella quotidianità.

Come è nata e come hai vissuto la collaborazione tra voi due?

Claudio: Eva è una donna straordinaria. Ci siamo conosciuti per una combinazione e l’idea di provare a produrre questo prodotto ha dato da subito entusiasmo ad entrambi. Ripeto, è stata una sfida interessante e per me si tratta anche della produzione letteraria in collaborazione, ma credo che ne siamo usciti abbastanza forti e rigenerati entrambi. Come prima esperienza con un’altra autrice non poteva andare meglio, con Eva si lavora molto bene ed è una persona di mente aperta e quando si tratta di tirarsi su le maniche non si tira certo indietro. Lei è una psicoterapeuta stimata e quotata sia in Piemonte che in Lombardia, ha centinaia di pazienti che segue quotidianamente su questa patologia, per me è stato un onore averla in questo libro.

Eva: La collaborazione con Claudio è nata per caso. E’ amico di un’ amica comune, la quale aveva in parte collaborato con lui durante la stesura del suo precedente libro, “Dammi la mano”. Lei gli ha parlato di me e del fatto che mi occupo di dipendenze, tra cui il gioco d’azzardo patologico. Dopo un breve periodo Claudio mi ha contattata, e abbiamo iniziato a discutere riguardo un possibile progetto in cui lui si sarebbe occupato di racconti legati al mondo del gioco e io della parte clinica. Da qui è nato “Così non vale”, non senza difficoltà logistiche, dovute ai nostri impegni e orari completamente diversi, e al fatto che io mi muovo per lavoro tra Milano e Torino.
La collaborazione con Claudio è stata molto positiva; ho apprezzato la sua pazienza e la sua professionalità, il suo saper gestire con padronanza diverse situazioni, il modo in cui si è approcciato ad un mondo che conosceva poco, il mio, fatto di psicoterapia e pazienti, e quello del gioco d’ azzardo, nella sua veste di patologia e non “vizio”, come vorrebbe l’ immaginario collettivo.

Torino, il gioco d’azzardo, la cura della dipendenza. Sai darci una veloce panoramica sulla situazione in città?

Eva: La situazione di Torino non è diversa da quella delle altri grandi città italiane. Si gioca, e tanto. Paradossalmente, più vi è forte crisi economica e più si incrementa il volume delle giocate. E per gioco d’ azzardo non si intendono solo le comuni slot machines. L’ azzardo è qualsiasi gioco in cui sia implicato il versamento di una somma di denaro, per cui anche gli “innocui”, che innocui non sono, “gratta e vinci”, Lotto, Superenalotto, scommesse sportive etc…
Dal 10/10/2016 Torino ha sancito la validità dell’ ordinanza sul gioco d’ azzardo, regolando gli orari di accensione delle slot machines. Ad oggi ammontano a 95 i comuni piemontesi che hanno aderito alla stretta degli orari: l’ accesso, anche se le regole cambiano da comune a comune, è permesso esclusivamente dalle h. 14 alle ore 18 e dalle 20 alle 24. In questo modo si è pensato di poter tutelare le fasce più deboli, ovvero gli studenti e gli anziani.
E’ un passo enorme per il riconoscimento del gioco d’ azzardo come dipendenza vera e propria, al pari delle dipendenze da sostanze, quali eroina, cannabis e cocaina, ma è comunque ancora poco. Infatti, come dicevo, il gioco d’ azzardo non è solo la slot machine: è il biglietto del gratta e vinci (tutti noi abbiamo presenti le lunghe code che si formano nelle ricevitorie tutti i giorni), è la scommessa sportiva, la scommessa ai cavalli. Centri dove effettuare scommesse stanno aprendo sempre più numerosi in città,nascono come dei “non-luoghi”, in cui è facile perdere la cognizione del tempo, un po’ come nei centri commerciali, sono fatti così apposta. E il loro volume d’ affari è sorprendente: nel 2016 solo a Torino si sono spesi circa un miliardo di euro nelle slot machines.
Lo Stato appare come sempre contraddittorio, come per gli altri monopoli, l’ alcol e il tabacco,altre due potenti dipendenze. Da un lato fornisce gli strumenti per poter accedere sempre più facilmente al gioco d’ azzardo, cercando di coinvolgere fasce sempre più ampie della popolazione; dall’ altra cerca di curare coloro che si ammalano di GAP, attraverso la formazione di personale specializzato, centri di recupero specifici all’ interno delle Asl, comunità etc… Nel 2016 il capoluogo piemontese ha registrato circa 1400 pazienti; ovviamente tutto ciò ha un costo molto elevato a livello di bilanci pubblici.
Rispetto a 50 anni fa si sa sicuramente molto di più sul gioco d’ azzardo, sulla patologia e sulla cura della dipendenza che esso comporta, ma presumo si sia ancora molto indietro, e che non vi sia un’ adeguata campagna di formazione e di prevenzione, che possa rivolgersi soprattutto agli adolescenti. L’ età delle persone che sviluppano problematiche legate al gioco va diminuendo sempre di più, di pari passo con l’ utilizzo di sostanze stupefacenti e l’aumento della solitudine (il cosiddetto fenomeno Hikikomori), favorito anche dal proliferare di giochi online.

Qual è il tuo rapporto con il gioco d’azzardo?

Eva: Il mio rapporto con il gioco d’ azzardo inizia in modo particolare; rispetto ad ora ero dall’ altra parte del banco, le persone le facevo giocare. Ero infatti sportellista presso un’ agenzia di scommesse, e lo sono stata per 5 anni, giusto il tempo di completare gli studi universitari. Avere a che fare quotidianamente con gli avventori mi ha permesso di avere una panoramica più ampia sul mondo del gioco e dei giocatori. Da qui ha ha preso vita il progetto della mia tesi di laurea, in cui ho condotto una ricerca qualitativa (non quantitativa per mancanza dei permessi da parte del gestore dell’ agenzia) rivolta nello specifico al mondo dei giocatori d’ azzardo,a quei particolari giocatori, alle loro storie di vita , ciascuna diversa, che si intrecciavano in modo fantasioso al mondo del gioco, ognuno per motivi specifici e mai scontati.
Mi era già chiaro come il banco vincesse sempre, quanto fosse illusoria l’ idea di una vincita, e quante speranze potessero però essere investite in una singola giocata. Ho quindi deviato la mia direzione, passando dalla parte di coloro che i giocatori d’ azzardo patologici li curano, o per lo meno tentano.
Attualmente vedo il gioco d’ azzardo come materia di studio; dietro di esso si annida sofferenza, speranza, un intero mondo effimero fatto di esultanza (poca) e disperazione (molta), a portata di qualsiasi consumatore. I pazienti che sviluppano una dipendenza fanno enormi sforzi per uscirne, una volta che decidono a richiedere un aiuto competente. Insieme a loro vi sono anche e soprattutto le famiglie, che devono essere sostenute, perchè l’ intero nucleo familiare diventa patologico, a causa dei rapporti che si incrinano, delle difficoltà economiche dovute ai debiti, alle bugie, alla perdita dell lavoro. Questa è l’ altra faccia del gioco, quella malata, quella che le pubblicità luccicanti che promettono guadagni milionari non raccontano.

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