Cultura
L’anello mancante, intervista con Saida El gtay e Nicolò Angellaro
E’ da poco uscito per i tipi della giovane Il camaleonte Edizioni il romanzo L’anello Mancante, con cui Saida El gtay e Nicolò Angellaro hanno vinto il Premio InediTo 2015. Si tratta di un coinvolgente viaggio nella Torino notturna, che rivela pian piano tutti i suoi misteri.
I due protagonisti, Tommaso e Indira, si incontrano grazie ad un dito e ad un anello, dei quali decidono di scoprire le origini. Finiranno in un turbine di misteri celati dalla Torino magica e delle sette, dove aleggia la misteriosa e affascinante presenza di Gustavo Rol.
Trovate qui la recensione del libro.
Abbiamo intervistato Saida El gtay e Nicolò Angellaro
Da cosa nasce l’idea del libro e cosa significa per voi la figura di Gustavo Rol?
Saida – L’idea nasce dal nostro incontro e dal legame che abbiamo tra di noi e la scrittura. Probabilmente nasce sin dal nostro primo scambio di battute. Volevamo raccontare una Torino che conciliasse i nostri due stili e interessi diversi per poter risultare un po’ fuori coro. Mi viene spontaneo associare Torino e Rol, probabilmente perché affascinata dalla sua figura molto prima dell’Anello Mancante per la mia curiosità rispetto all’esoterico. Rol per me rappresenta Torino nelle sue tinte più gentili. Penso sia stato messo un po’ in un angolo, ingiustamente. Merita di essere conosciuto.
Nicolò – L’idea del libro in realtà è nata da una serata alcolica, in cui Say mi ha proposto di scriverlo, e io tra i fumi della vodka lemon ho accettato.
A parte gli scherzi, Say aveva saputo del concorso InediTO e mi ha chiesto di unire le forze per scrivere quello che, da semplice racconto breve, è diventato poi un manoscritto di più di cento pagine.
Gustavo Rol per me rappresenta l’idea di uomo consapevole di poter fare del bene, e desideroso di farlo. Questo è il lato che più mi ha affascinato di lui, una volta approfondita la sua storia.
La vicenda è fortemente legata a Torino. Che rapporto avete con la città di Torino e con i misteri ad essa legati?
S – Sono rimasta affascinata da Torino sin dall’inizio. E’ una città che si impara ad amare pian piano, come i migliori amori. Il nostro rapporto passa da alti e bassi, ma in uno di quei alti ho scoperto pian piano diversi misteri, ho comprato una “guida” magica e mi sono fatta un giro per le sue strade.
Certo è che se la utilizzo da sfondo per tutti i miei racconti ci sarà un motivo.
N – Torino l’ho scoperta meglio nel momento in cui ho iniziato l’università. Ogni volta che mi ci reco mi lascia senza fiato: dal punto in cui parcheggio abitualmente (via Sommacampagna) cammino verso la Gran Madre, e poi si apre di fronte a me quello spettacolo che è Piazza Vittorio. Percorrendo via Po, poi, mi chiedo quante storie possono raccontare quei portici…
E sono anche quei misteri, ad aver ispirato la storia e l’atmosfera che abbiamo cercato di ricreare nel libro. I luoghi in cui è ambientata la vicenda, però, sono largamente frequentati dai nostri coetanei.
Quanto c’è di voi nei due protagonisti?
S – Sicuramente qualcosina c’è. Indira è giovane e come tale può assomigliare a qualsiasi ragazza della sua età. Penso sia inevitabile non lasciarci qualcosa che ritorna dentro di noi. Sicuramente pensa troppo.
N – Nel personaggio di Tommaso ho inserito un po’ di elementi che mi caratterizzano: sarcasmo, voglia di commentare senza ritegno qualunque cosa, una serie di paure infondate, il fatto che mi lascio trasportare molto da ciò che è di mio interesse (il “cazzeggio creativo”) e la quasi totale assenza del desiderio di farmi gli affaracci miei. Poi alcune parti sono inventate, come la sua storia e il fatto che non abbia nulla da perdere, ma mi piaceva l’idea di far sì che la pensasse come me, o che io la pensassi come lui.
Scrivere a quattro mani non è mai semplice. Come vi siete divisi i compiti?
S – Lavorando sia insieme che in separata sede e usando file condivisi su cui potevamo scrivere contemporaneamente. Alle volte dopo il mio capitolo Nicolò sconvolgeva i piani per un colpo di “genio”. E’ stato bello leggere e aspettarsi un improvviso colpo di scena scritto da lui.
N – Scrivere a quattro mani, tecnicamente parlando, è stato tutto sommato semplice. Prendendo spunto da un romanzo raccontato attraverso ogni singolo punto di vista dei suoi personaggi (“L’orda del vento” di Alain Damasio) abbiamo scritto la storia attraverso i punti di vista di Indira e Tommaso. Questa tecnica ci ha permesso anche di utilizzare i nostri stili di scrittura personali, che sono molto diversi (il mio più asciutto e incisivo, il suo più descrittivo). Personalmente ritengo che utilizzare due stili di scrittura differenti abbia aiutato anche a tratteggiare meglio la personalità dei due protagonisti: Tommaso che sfonda la quarta parete e fa battute in continuazione, Indira più seria e introspettiva.
Se la tecnica utilizzata ci ha facilitato la vita, la storia invece ce l’ha complicata. Ci incontravamo un paio di volte a settimana per decidere come far proseguire la trama e verificare che non ci fossero errori di coerenza, e tante volte abbiamo dovuto fare alcuni passi indietro per correggerla: questa era la cosa più difficile che abbiamo incontrato. Una volta stabilito che tutto andava bene, ci dividevamo il pezzo elaborato e tornavamo a casa a scrivere. In linea di massima le azioni vengono raccontate dal protagonista che vive la situazione e compie le azioni, e quando i due sono insieme il punto di vista cambia a seconda del momento.
Un giochino con cui chiudo sempre le interviste. Immaginate che il libro venga trasposto al cinema. Quali attori vorreste nei ruoli dei vostri personaggi? Lasciate andare la fantasia…
S – Se arrivassi ad immaginarlo probabilmente sarebbe la realtà! Ad ogni modo direi che se ci fosse un film, quindi degli attori, credo vorrei fossero esordienti.
N – Mi piace questo gioco! Dunque, per la parte di Tommaso vedrei bene Taron Egerton, per Indira sceglierei Tuppence Middleton. Il burbero frate Gianmichele sembra fatto apposta per Jean Reno, la Donna in Rosso invece andrebbe a Lucia Vasini, mentre per la parte del Nano punterei a Paolo Rossi (ho visto Rossi e la Vasini a teatro grazie al Mistero Buffo reinterpretato da quest’ultimo, sono entrambi straordinari).
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