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Cultura

La distrazione di Dio, intervista con Alessio Cuffaro

Gabriele Farina

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E’ da poco uscito per i tipi della quasi esordiente Autori Riuniti, il romanzo La distrazione di Dio, di Alessio Cuffaro. Si tratta di una curiosa avventura che parte da Torino e dura un secolo e mezzo. Il protagonista, Francesco, scopre che alla sua morte rinasce nel corpo di un altro, una persona già adulta (o bambina), con una storia alle spalle che il nostro Francesco dovrà recuperare al più presto per continuare a viverla.

Trovate qui la recensione del libro.

Abbiamo intervistato l’autore Alessio Cuffaro

Da cosa nasce l’idea di questo romanzo, che se non è proprio inedita nel suo fondamento lo è di certo nello sviluppo?

Volevo sperimentare, costruire un personaggio e portarlo lì dove un impianto classico non avrebbe potuto portarlo. Questa la suggestione iniziale. Poi scrivendo si sono aperte delle strade che non avevo previsto all’inizio. Il romanzo è diventato il terreno della lotta tra corpo e psiche, tra la necessità di Francesco (il protagonista) di mettere in campo la propria individualità e le istanze familiari, amicali e sociali che lo vorrebbero ogni volta diverso. L’idea di far rinascere un personaggio in un altro corpo non è nuova, lo è il fatto di lasciargli intatta la memoria delle vite precedenti e farlo “ritornare” senza limiti geografici (il romanzo si muove da Torino a Parigi, da Praga a New York), di genere o di età. È il racconto di un secolo, il Novecento, ma soprattutto è una storia concepita per catturare il lettore, emozionarlo, fargli vivere quante più esperienze e conflitti possibili in 233 pagine. Per farlo ho dovuto togliere tutto ciò che non era necessario. Concedere diritto di cittadinanza a oggetti, personaggi, eventi solo se indispensabili a portare avanti la storia. Ho potuto farlo perché il lettore contemporaneo ha un bagaglio di immagini prese da film e serie tv così ampio da non avere bisogno che gli venga descritta ogni cosa, ogni stato d’animo, ogni lieve movimento facciale. Significherebbe solo ribadire l’ovvio.

La distrazione di Dio a me sembra in definitiva un romanzo di formazione, che attraversa lo spazio e il tempo in maniera più ampia rispetto alla tradizione. Cosa riesce ad imparare il tuo protagonista da una vita così lunga e piena di conoscenza?

Impara che la tua vita non la decidi solo tu. La decide il tuo corpo, il tuo tempo, il tuo sesso, il tuo reddito. Non c’è un manovratore lassù che farà andare le cose nella direzione in cui devono andare. E se c’è, di sicuro è parecchio distratto. Impara a caro prezzo a gestire il senso di colpa e capisce che non c’è modo di non fare del male agli altri, perché il solo fatto di vivere e prendere luce significa mettere in ombra qualcun altro. Impara che si possono amare i numeri, le donne, gli uomini e le arti con uguale passione, a patto di non cercare mai di usare i numeri per quantificare le proprie passioni. Francesco è un ingegnere, e prova a vivere la propria vita secondo quel modo di vedere il mondo tipico di chi punta tutto su assiomi e postulati. 135 anni di vita gli insegneranno che non c’è verso di sottrarre la propria esistenza al caos.

Francesco nasce a Torino in un momento fondamentale per la città. Qual è il tuo rapporto con Torino?

L’ho scelta. Sono nato a Palermo e a vent’anni sono venuto a studiare qui alla scuola Holden. Poi non sono riuscito a lasciarla. Adoro la sua classe, il garbo, la capacità di mettere chi la abita a proprio agio e al tempo stesso di innovare, persino di osare a volte. Forse la cosa che adoro di più di Torino è il suo sapere di essere bellissima senza mai fartelo pesare. È una città del tutto priva di arroganza in un tempo in cui l’arroganza sembra essere la cassetta degli attrezzi di base del vivere.

Autori Riuniti è un progetto nuovo, che coinvolge totalmente gli autori. Vuoi raccontarcelo?

L’idea è quella di riportare gli autori al centro del processo produttivo di un libro. La casa editrice infatti è interamente gestita dagli autori che pubblicano con essa. Nessuno però è editore del proprio libro, ma solo del libro degli altri autori. Questo ci garantisce di preservare l’intermediazione culturale e, quindi, la qualità. Gli autori che vengono pubblicati dalla casa editrice non devono pagare nulla e ricevono diritti molto più alti della media. In cambio si chiede loro solo di dare una mano per realizzare il libro di un altro autore. Alcuni avranno una dote naturale per l’editing, altri parteciperanno semplicemente aprendo un divano letto e ospitandoci quando faremo presentazioni nella loro città. Non c’è una regola. Ci sono barriere molto severe però. Gli autori della Autori Riuniti vengono chiamati a far parte di comitati di lettura per valutare i manoscritti più promettenti. E su quel fronte siamo davvero spietati. Non ci interessano i soliloqui esistenzialisti, non sappiamo cosa farcene di romanzi privi di trama o straripanti dell’ego del narratore. Preferiamo pubblicare pochi testi, scelti con grandissima cura, piuttosto che aprire le porte a qualsiasi manoscritto ci arrivi.

Concludo sempre con un giochino. Se dal tuo romanzo venisse girato un film, quali attori ti piacerebbe vedere nei ruoli principali? Sbilanciati, perchè è un gioco.

Francesco è senza dubbio Pierfrancesco Favino. Io stesso mentre scrivevo lo immaginavo con le sue sembianze. Valerie è Amy Adams. Fatboy è Paul Giamatti. Su Zoe sono molto indeciso: Lena Headey (la Cersei Lannister di Game of Thrones) o Maggie Siff (la moglie del protagonista di Sons of anarchy). I gemelli praghesi dovrebbe interpretarli entrambi Elio Germano, perché è così bravo che varrebbe la pena vederlo raddoppiato sullo schermo.

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