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Cronaca

Da Torino alla Basilicata: intervista a Paolo Verri, direttore Matera2019

Redazione Quotidiano Piemontese

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Logo Matera2019

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Recentemente Matera si è aggiudicata il titolo di Capitale europea della Cultura 2019, battendo la concorrenza di altre cinque città italiane: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena. Dietro il successo della città lucana, c’è anche un torinese, Paolo Verri, che dopo vent’anni di lavoro sotto la Mole e l’interruzione (forzata) nel 2011, è passato alla direzione di Matera2019. Quotidiano Piemontese ha intervistato Paolo Verri, ed insieme a lui, ha ripercorso le le tappe che lo hanno portato in Basilicata: “Se fossi rimasto a Torino, avrei terminato il lavoro per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e poi avrei dovuto trovarmi qualcos’altro. Alla fine reputo di essere stato fortunato. Come spesso accade, quando ti succedono delle cose, il destino ti porta sempre nella direzione giusta”.

Viste le sue precedenti esperienze, quasi tutte torinesi, com’è arrivato alla direzione di Matera2019?
Sono arrivato a Matera in maniera molto semplice, come altre volte in passato. Negli anni Novanta arrivai al Salone del Libro chiamato da Guido Accornero che era alla ricerca di un giovane appassionato di editoria che potesse dare una visione nuova al Salone. Successivamente, sulla base dell’esperienza al Salone del Libro, fui chiamato dall’allora assessore Fiorenzo Alfieri per dare una mano al Comune di Torino sulla creatività dal punto di vista urbano. E così, facendo bene il mio lavoro a Torino, sono stato chiamato in altri posti e ho iniziato a girare l’Italia per lavoro.

Nel 2009 mi è capitato di andare in Basilicata a seguire un progetto molto interessante dal titolo “Visioni urbane”. Era appena partita l’idea di candidare Matera a Capitale europea della Cultura. Mi venne chiesto di far parte del gruppo di lavoro regionale sulla candidatura. Iniziai a farne parte, anche se ai tempi ero ancora impegnato alla direzione dei festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Quando mi venne chiesto di interrompere la mia attività per il 150°, la Regione Basilicata mi chiese di lavorare più intensamente alla candidatura di Matera. Di conseguenza, dalla seconda metà del 2010, mi sono recato spesso a Matera fino a quando, nel marzo-aprile 2011, il sindaco mi propose di fare il direttore del nascente Comitato. Da quel momento sono passato a lavorare a tempo pieno per questo progetto. Inoltre, a partire dal 2013 ho affiancato, a Matera2019, la direzione del palinsesto eventi di Expo 2015. È la conferma che non sono mai capace di fare una cosa sola nello stesso tempo: ho bisogno di avere un orizzonte più lungo rispetto alle cose che faccio.

Non si è trattata quindi di una fuga da Torino?
Se fossi rimasto a Torino, avrei terminato il lavoro per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e poi avrei dovuto trovarmi qualcos’altro. Alla fine reputo di essere stato fortunato. Come spesso accade, quando ti succedono delle cose, il destino ti porta sempre nella direzione giusta. Certo, è stato un duro colpo non finire quel lavoro: mi è dispiaciuto perché si trattava di un progetto a cui ho lavorato  per quattro anni ed è stato un dispiacere non portalo a compimento. Non sono abituato a fuggire. Forse avevo fatto fin troppo a Torino. Credo che una persona che lavora per vent’anni nella stessa città possa aver fatto un po’ il proprio tempo. È per questo che non ho rimorsi.

Quali sono le differenze che ha notato lavorando a Matera2019 rispetto alle precedenti esperienze?
Ovviamente c’è una differenza di scala. Matera, con 60 mila abitanti circa, è più piccola di un quartiere di Torino. In una città del genere, dopo un po’ che ci lavori, conosci praticamente tutte le persone. Questo è straordinario perché ti permette di lavorare collettivamente in maniera molto precisa. C’è poi una differenza legata alla natura. La Basilicata è un territorio incontaminato. Per me è stato come scoprire il West (nel senso buono): quel territorio, dove arrivi e hai davanti a te il paesaggio sempre libero e aperto, con il verde, il cielo e le stagioni. Una situazione molto diversa dal lavorare in città. Qui la natura ha un’influenza molto forte. Si instaura un rapporto molto più diretto con le cose e con le attività. Da un altro lato, tuttavia, ci sono istituzioni molto più giovani e fragili dove la visione istituzionale è più affidata alle capacità del singolo che alla struttura.

C’è da sottolineare, inoltre, che la Basilicata è un territorio molto etico. Matera è la città più sicura d’Italia secondo le statistiche e si contende questo primato con Bolzano. La qualità della vita è  straordinaria. È come abitare in quartiere ma appena esci, non c’è un altro quartiere, bensì la natura. E non finisce qui. Matera è una città molto dinamica con molte proposte culturali. Infine, c’è uno  straordinario clima di persone che hanno voglia di fare. La paura derivante dalla recente crisi del distretto dei salotti ha generato uno spirito di rivalsa unico che si è affidato alla cultura.  Una situazione che mi ricordava le esperienze fatte nella Torino post-fordista. Con grande piacere ho messo a disposizione le conoscenze maturate sotto la Mole. Fin dall’inizio ho cercato di confortare il gruppo di lavoro che la competizione era una sfida che si poteva vincere.

E infatti così è andata. Ma qual è stata la carta vincente che ha permesso a Matera di battere la concorrenza di Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena?
C’è chi ha detto che siamo stati favoriti fin dalla prima ora. Io credo che la cosa interessante di questa competizione è che tutti hanno lavorato molto seriamente. In tutte le candidature ci sono dei progetti molto belli. La candidatura di Matera, insieme a quella di Ravenna, credo che fosse la più seria, in quanto la più radicata. La cosa, che credo ci abbia favorito, è stato il fatto di avere un team più largo, dove c’erano degli aspetti locali, regionali, nazionali ed internazionali. A differenza di altre candidature, Matera ha messo insieme la visionarietà del progetto e ha convinto la commissione che è in grado di realizzarlo.

In che modo?
Da un lato c’è una Fondazione che dispone di 30 milioni di euro e dall’altro lato c’è il fatto di avere un profilo del management molto chiaro: abbiamo deciso che per due anni faremo soltanto formazione, sui giovani per migliorare le capacità di management culturale, e sul settore amministrativo per migliorare il format del sistema pubblico all’interno del governo comunale e regionale. A prima vista, oggi, può sembrare una dichiarazione di debolezza ma invece è la capacità di guardare con serietà al futuro di tutta la collettività.

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