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Cronaca

Sgombero campi rom di Lungo Stura Lazio, Bertola fa chiarezza

Redazione Quotidiano Piemontese

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img_0011Sono passati solo quattro giorni da quando sono state demolite le prime baracche del campo nomadi di Lungo Stura Lazio e alcune famiglie Rom sono state spostate in alcuni alloggi temporanei predisposti dal Comune di Torino. Proprio la nuova sistemazione è diventata la pietra dello scandalo virtuale tra chi, in rete, si indignava per aver consegnato un appartamento arredato agli “zingari” e chi, di contro, difendeva i diritti e le necessità di poveri di qualsiasi etnia o provenienza.
Una delle cause di questo ribollire telematico è stata senza dubbio la poca informazione sul programma messo in atto dal Comune e dalle associazioni di volontariato che si occupano dei campi rom torinesi. A fare ordine ha provato il consigliere comunale Vittorio Bertola (M5s) in un lungo e circostanziato post di cui riportiamo qui le parti salienti:

[…]In pratica, quello che sta accadendo in queste settimane è l’inizio delle attività finanziate con i cinque milioni di provenienza nazionale, affidate a un gruppo di 19 associazioni italiane e romene, dall’Aizo alla Croce Rossa passando per Terra del Fuoco, associazione da sempre al centro delle polemiche politiche in quanto creatura dell’attuale capogruppo di SEL.

Da dicembre, gli operatori hanno censito gli abitanti del campo di Lungo Stura Lazio, che sono circa 850; ce ne sono poi altri 250 nel campo abusivo di corso Tazzoli, che sarà affrontato successivamente. In base al censimento, si decide cosa fare di ciascuna famiglia rom; a ciascuna viene chiesto se preferisce rimpatriare o rimanere a Torino. Chi vuole rimpatriare in Romania riceve sei mesi di sussidio e di assistenza là, grazie alla partecipazione di associazioni romene, e deve impegnarsi a non rientrare in Italia, anche se non è chiaro se e come si farà rispettare questa clausola.

Chi invece vuole rimanere viene aiutato a trovare casa; se ha diritto alla casa popolare, perché residente qui da almeno tre anni, viene aiutato a fare domanda; se ha qualche forma di reddito perché lavora, oppure se gli si può trovare un lavoro tramite un apposito progetto di inserimento, viene sistemato in alloggi a basso costo, come quelli appunto di corso Vigevano, impegnandosi a pagare l’affitto (anche se è previsto un contributo pubblico iniziale e decrescente nel tempo) e le utenze, a mandare i figli a scuola e ovviamente a non delinquere, rendendosi autosufficienti entro due anni. Questi sono i casi più facili da risolvere e quindi quelli che sono partiti subito, ma sono solo una parte; nei prossimi mesi, chi non ha né lavoro né diritto alla casa verrà diretto ad altri campi regolari, man mano che vi si liberano dei posti; e si stanno studiando altre possibilità, come ad esempio quella di dargli cascine da ristrutturare in proprio. In cambio di questo, la famiglia deve anche demolire la propria baracca in Lungo Stura Lazio, smaltendo i rifiuti e assicurandosi che nessuno vi possa subentrare.

Quindi, la notizia delle “case popolari assegnate ai rom” è vera, e del resto vi sono già molti rom nelle case popolari, perché ne hanno diritto in base alle stesse condizioni applicate a chiunque altro; tuttavia, in questo caso non sono alloggi ATC in assegnazione definitiva ma alloggi privati pensati per il “social housing” e assegnati temporaneamente; anche se sono nuove e hanno il parquet, non sono case di lusso ma case pensate per accogliere famiglie bisognose a basso costo; il costo della sistemazione è in parte a carico dei contribuenti e in parte a carico della famiglia alloggiata.

D’altra parte, il campo di Lungo Stura Lazio è una vergogna (già ampiamente documentata) e un problema sia per chi ci vive che per il quartiere; e certo quella situazione non aiuta a ridurre la delinquenza tra la comunità rom, al punto che un bimbo del campo che non vuole rubare deve scrivere e chiedere aiuto e fa pure notizia. Ma se si vuole eliminare il campo bisogna sistemare in qualche modo chi ci abita, perché un semplice sgombero per forza di cose si concluderebbe con la nascita di un nuovo campo pochi metri più in là.

Tuttavia, provo anch’io rabbia e frustrazione all’idea che, stringi stringi, lo Stato italiano trovi casa per una comunità di occupanti abusivi, in gran parte stranieri e privi di qualsiasi voglia di integrarsi o rispettare le nostre leggi, e non la trovi per famiglie nate e cresciute qui e che hanno sempre lavorato e pagato le tasse fin che hanno potuto. Potrei spiegarvi nel dettaglio perché, dal punto di vista burocratico, la famiglia sopra citata non rientri nelle condizioni dell’emergenza abitativa e dunque sia lasciata dal Comune in mezzo alla strada; la realtà è che ormai vi sono case pubbliche sufficienti solo per una famiglia sfrattata su tre e dunque molti in un modo o nell’altro devono essere esclusi.

La soluzione, però, non è perpetuare l’orrore delle baraccopoli e nemmeno far partire una guerra tra poveri, ma recuperare il patrimonio abitativo inutilizzato, sia quello abbandonato che quello costruito e mai venduto, in modo da avere a disposizione case sufficienti per tutti. Noi l’abbiamo proposto da molto tempo, ricevendo sempre risposte negative dall’amministrazione comunale.

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