Cuneo
Nella terra dei tartufi l’ennesimo spreco all’italiana: l’ospedale di Verduno
Una strada stretta che si inerpica tra colline, vigne e tartufi in uno degli angoli di Piemonte più adatti ad uno scatto da cartolina. E lì, a mezza costa, respirando il profumo delle nocciole, un gigante di cemento che guarda con terrore dove poggiano i suoi piedi. Già, perchè la collina su cui stanno costruendo il nuovo ospedale di Verduno, destinato a servire Alba e Bra, è composta da “marne argillose inclini a scivolamenti e uno strato gessoso carsico, frane attive e quiescenti”. Come dire, cronaca di un disastro annunciato.
E invece no, perchè a metà anni ’90, quando il faraonico progetto da 114 milioni (poi diventati 125, poi 156, ora chissà) e 550 posti letto viene approvato, sulle carte ufficiali sparisce la parola “frane” e si segue un’indicazione che fa rabbrividire solo a leggerla: “non edificabile, salvo opere di interesse pubblico non diversamente ubicabili”. Come dire che lì sopra non dovresti costruire nemmeno una casa sull’albero per i tuoi figli, ma siamo in Italia, per cui se proprio ti serve un posto per farci un colosso di nove piani con dentro degli ammalati, allora ok.
Ma serve davvero? E quella collina instabile è proprio l’unico posto a disposizione? Ad entrambe le domande i residenti in zona rispondono di no. “Ci sentiamo presi in giro” sbotta Luciano Scalise, direttore della Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra, nata nel 2008 con il preciso scopo di aiutare a reperire fondi per proseguire i lavori. A dieci anni dalla posa della prima pietra e a venti dall’approvazione del progetto, infatti, il cantiere è fermo e, nonostante le rassicurazioni delle istituzioni, il preventivo continua a lievitare e di soldi in cassa ce ne sono ben pochi. “Abbiamo raccolto 11,8 milioni e l’obbiettivo è 15” racconta Scalise che è a capo di un gruppo di imprenditori locali tra cui Farinetti di Eataly, Miroglio del tessile e Ceretto dei vini. “Ne studiamo una più del diavolo, dai punti fedeltà nei supermercati, alle bottiglie della vigna del Camillo Cavour. E ci troviamo una Regione Piemonte e un’impresa costruttrice che non rispettano gli impegni presi”.
Gli fanno eco i quasi 500 medici, tecnici ed infermieri delle due strutture giudicate ormai obsolete che hanno costituito il movimento “Salviamo gli ospedali di Alba e Bra”: “mentre tutti aspettano Verduno, a Bra hanno tolto il punto nascita, chiusi Ostetricia e Pediatria, il Pronto Soccorso è destinato a sparire. Alba ha ridotto le prestazioni e allungato le liste d’attesa. Le attrezzature sono obsolete. Quattro medici specialisti a contratto precario se ne sono già andati via in un mese, e altri dovranno lasciare prima di Natale”.
La posizione del nuovo centro ospedaliero, composto da tre bracci al momento incompiuti e appoggiato su una piattaforma in cemento appositamente fatta costruire per sostenerne il peso (900 pali larghi 1,80 metri e profondi 30 racchiusi da una colata lunga 260 metri, larga 7,3 e profonda 6), non è, come abbiamo detto, idilliaca. “Il primo lotto di terreno lo comprammo noi, Comune di Alba, e fatta un’accurata perizia geologica lo donammo alla Asl” racconta l’ingegner Enzo De Maria, sindaco di Alba negli anni ’90. “Costava un tozzo di pane, ma ora è diventato peggio della Salerno-Reggio Calabria”. Poi venne chiamata in causa anche la Chiesa, con la Diocesi di Alba che, nel ’98, vendette un’area di 9 giornate a 122 milioni e 480 mila lire, “meno di quanto ottennero poi altri proprietari messi di fronte alla minaccia dell’esproprio”, ricorda don Angelo Franco, parroco di Verduno.
Una posizione infelice, instabile, ma soprattutto scomoda da raggiungere. Quando e se l’ospedale verrà completato ed inaugurato, bisognerà prevedere un ampliamento della provinciale 7, un raccordo con la statale, adeguamento del ponte sul Tanaro, cavalcavia sopra la futura autostrada Asti-Cuneo. Insomma, una variante che per 1.700 metri complessivi rischia di costare 12 euro al millimetro. Altro che tartufi.
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