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Cronaca

Il bar della ‘ndrangheta torinese riaperto dalla cooperativa Libera

Erika Savio

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bar-italiaOggi è festa in via Veglia 59, a Torino: lo storico bar del boss della ‘ndrangheta riapre grazie alla cooperativa Libera. Per l’occasione interverranno anche Don Ciotti e il procuratore Caselli.
A volte la giustizia trionfa, così capita che andando nel vecchio bar della mala a prendere un caffè non troverete più picciotti, uomini d’onore, padrini e sgarristi. Ci sarà invece Adriana Nobile un’impiegata in mobilità della Ages di Santena di 56 anni che vi serve il caffè.
Si chiamava ‘Bar Italia’ ed era l’ex covo della ‘ndrangheta torinese, il simbolo della ‘mala Italia’, dove si incontravano pezzi grossi e pesci piccoli e si facevano affari illegali. Poi, alle 20.35 del 7 giugno 2011 l’ultimo scontrino: due ore dopo, ‘Peppe’, Giuseppe Catalano, marito della titolare Albina Stalteri, è finito in manette, insieme ad altri 153 presunti ’ndranghetisti, nella notte che fu chiamata ‘operazione Minotauro’, una scarica di accuse contro le ’ndrine di Torino e provincia, il cui processo si sta celebrando nell’aula bunker delle Vallette. Il bar, che viene citato ben 373 volte nell’ordinanza di arresto dei boss, da oggi ha cambiato il suo nome in ‘Italia Libera’. L’Italia giusta.

Peppe Catalano, proprio pochi giorni prima di morire aveva firmato la dissociazione dall’organizzazione. Una sorta di ammissione implicita del suo coinvolgimento. Poi, proprio un anno fa, si è suicidato nella villetta di Volvera lanciandosi giù dal balcone. Motivo ufficiale: la depressione, ma nei documenti depositati in procura non si fa alcun cenno a patologie psichiche. Un decesso su cui non vi sono certezze. Di certo c’è che per vent’anni, dal suo bar dettava la linea dell’onorata società nella città sabauda. Infatti, pare che proprio qui si siano decise strategie e destini dei criminali più importanti, qui era di casa il boss Giuseppe Commisso detto ‘U mastru’, uno dei tre più potenti capi in circolazione in Italia. Si chiarivano controversie, si celebravano riti, si spartivano appalti, doti e promozioni. E si faceva pure  la’colletta’ per le famiglie dei carcerati. In questo bar – secondo l’accusa – è diventato anche padrino il noto Bruno Iaria ed Arcangelo Gioffrè (appena diciottenne) è stato affiliato nella Famiglia quale ‘giovane d’onore’ salvo poi, pochi mesi dopo (28 dicembre 2008), essere quasi ucciso nell’agguato di Bovalino in cui morì suo padre Giuseppe, capo del locale di Settimo.
Dopo tutto questo sangue, adesso c’è Adriana sorridente con le due giovani ragazze della cooperativa Nanà (sempre legata a Libera, che è l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti.) Insieme a Maria Jose Fava, referente regionale dell’associazione, da mesi lavorano alacremente per rimettere a posto i locali. Le storie che ne escono sono interessanti, degne di una puntata dei Soprano: “E’ saltato fuori di tutto, anche un santino elettorale del 2009 di Fabrizio Bertot (mai indagato ndr) candidato alle elezioni europee che venne qui a fare un pranzo con il gotha della ’ndrangheta (in aula ha negato di sapere che fossero criminali ndr)”. Ed ancora “In un cassetto c’era perfino il certificato antimafia con tanto di timbri” raccontano le ragazze.

Oggi alle 17 l’inaugurazione: presenzieranno anche il procuratore Giancarlo Caselli, don Luigi Ciotti e gli ufficiali dei carabinieri e delle forze armate che lavorarono all’indagine dalla quale scaturì il sequestro del bar. E Adriana sottolinea: “Siamo qui per metterci in gioco, per mandare alla città un segnale positivo. L’antimafia non è solo quella delle manette”.Non bisogna aver paura.

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