Economia
I destini di Rcs e del Corriere sempre più incrociati con quelli di Stampa e Fiat
Mercoledì 27 marzo si svolge a Milano il consiglio di amministrazione di RCS che esaminera’ i dati preliminari dei conti 2012 e gli accordi di massima su debito e aumento di capitale a supporto del piano industriale 2015. Il bilancio e il piano verranno approvati da un altro consiglio che dovrebbe tenersi l’11 aprile, in modo da dare a soci e banche il tempo di decidere sul da farsi
Linkiesta analizza la situazione con interessanti spunti sulle implicazioni che potrebbe avere su La Stampa e sulle attività editoriali di Fiat.
La Fiat ha in mano il bastone del comando e s’intravede una fusione con la Stampa. A suggello, il direttore del quotidiano torinese, Mario Calabresi, potrebbe andare al posto di Ferruccio de Bortoli in via Solferino, in via Rizzoli o dove diavolo sarà finito il quartier generale del gruppo. Ma è solo la tappa intermedia di un cammino che va più in là e porta con sé il tramonto del giornale di sistema, come il Corriere della Sera è stato per un secolo. La svolta risale a un anno fa, quando avviene quello che Diego Della Valle ritiene un vero e proprio golpe. Fiat, appoggiata da Mediobanca, prende i pieni poteri, John Elkann impone il suo manager, Pietro Scott Jovane, scovato in Microsoft, e riplasma il consiglio di amministrazione: scende da 21 a 12 membri, quattro rappresentanti diretti dei soci, e cinque indipendenti.
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Quando nel 1982 scoppia lo scandalo della P2, il Banco Ambrosiano viene messo in liquidazione. L’allora ministro del Tesoro Nino Andreatta lo affida a Giovanni Bazoli, avvocato bresciano, proveniente da una grande famiglia cattolica, amica di Giovan Battista Montini, papa Paolo VI. Bazoli chiede aiuto ad Agnelli il quale interviene attraverso Gemina, una finanziaria affidata a Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat. I socialisti prendono cappello: Bettino Craxi si sente tagliato fuori da quel che considera un patto tra la Fiat e i catto-comunisti. Sceglie, così, di esercitare una continua pressione sul Corriere, il giornale della sua Milano. “Governativo per vocazione”, Agnelli scende a patti, soprattutto quando Craxi arriva a palazzo Chigi. La scelta del direttore (che spetta all’Avvocato) e la linea politica sono oggetto di un continuo tira e molla. Nel 1992, quando si dimette Ugo Stille, Agnelli chiede il via libera di Craxi prima di nominare Paolo Mieli nella speranza che potesse gestire in modo soft il terremoto che l’inchiesta Mani Pulite stava per scatenare.
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Liberatosi dell’auto fondendola con la Chrysler, grazie alle “magie” di Sergio Marchionne, John Jacob Elkann ha due alternative: fare come i Rockefeller, sia pur su scala minore, cioè diventare finanziere, tagliatore di cedole, smetterla con l’imprenditoria che non è mai stata il suo mestiere e garantire alla numerosa e famelica famiglia dividendi adeguati a rinnovare ogni anno il guardaroba; oppure sganciare la zavorra di quel club oggi blasé, chiamato salotto buono, e proporsi come punto di riferimento di una ricostruzione del capitalismo italiano su basi più moderne e cosmopolite. La prima scelta non richiede un giornale, anzi non serve nemmeno stare in Italia, meglio la Svizzera, Londra o New York. Ha bisogno, però, di rimettere in sesto Rcs per collocarla in un grande gruppo multinazionale. Insomma, una manovra simile a quella compiuta con Fiat-Chrysler. La seconda strada deve trovare un punto di riferimento politico, se non proprio un partito. In tal caso, un giornale è determinante, ma non il “giornale di sistema”, piuttosto il “giornale di progetto”, insomma la Repubblica dei moderati. E’ in grado di farlo Elkann? Ne ha voglia proprio lui che in Italia ha trovato solo un paese d’adozione?In ogni caso, “Gei Gei” Elkann ha bisogno di rivoltare come un guanto Rcs. Intanto, deve rimediare ai disastri delle gestioni precedenti. I debiti sono ingenti: a fine 2011 la posizione finanziaria netta era negativa per 938 milioni con un cash flow operativo di 126 milioni, linee di credito per 1,7 miliardi a fronte di ricavi attorno a 1,6 miliardi di euro. Quindi, c’è bisogno di un massiccio aumento di capitale. Poi bisogna far rinascere un gruppo editoriale competitivo dalle ceneri del vecchio. Il quotidiano è una corazzata che ancora resiste anche se perde posizioni, ma così com’è non può più reggere, mentre la redazione, antico punto di forza, è ormai esausta. La scelta del top manager dimostra che il cuore strategico pulsa nel web. Entro due anni dovrebbe dare un quarto del fatturato. Del resto questo è il campo di battaglia dei nuovi poteri. La ricomposizione degli interessi, l’agenda del paese, le stesse relazioni internazionali, passeranno di qui.
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