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Economia

Come si lavora alla Fiat in Serbia dove si costruisce la 500L

Redazione Quotidiano Piemontese

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East Journal rilancia un articolo del Piccolo di Trieste che è andato a intervistare i sindacalisti serbi sulle condizioni di lavoro nello stabilimento Fiat di Kragujevac

Orari di lavoro massacranti, salari di tre volte inferiori a quelli dei colleghi polacchi, di cinque rispetto agli italiani. La Fiat è nell’occhio del ciclone, dopo le recenti denunce sulle condizioni di lavoro nella fabbrica serba di Kragujevac. Ma è proprio così drammatica, quasi “ottocentesca”, la situazione negli stabilimenti dove si produce la “500L”?

Meglio girare direttamente la domanda a Zoran Mihajlovic, presidente del sindacato indipendente che opera all’interno della fabbrica “Fas”, Fiat Automobili Srbija, contattato per chiarire i contorni del malcontento che serpeggia tra le tute blu in Serbia. Mihajlovic che esordisce con una precisazione. «Abbiamo intrecciato dei negoziati con la Fiat sui salari, poiché ritenevamo che essi non fossero adeguati a soddisfare le esigenze minime dei lavoratori», specifica al Piccolo. Negoziati che hanno portato «a un aumento del 13%» delle paghe, più bonus e tredicesima, così che «il salario medio è salito da 350 a 400 euro». «Come sindacato non possiamo mai essere pienamente appagati – aggiunge Mihajlovic – ma abbiamo ottenuto quanto era realistico. L’aumento avrebbe dovuto essere superiore, ma non è una cattiva retribuzione, tenuto conto del quadro globale del settore automobilistico».

Ma se le paghe sono aumentate, non è ancora diminuito l’orario di lavoro, causa maggiore del malcontento. Malcontento esploso con la sperimentazione, iniziata cinque mesi fa, dei turni di 10 ore per quattro giornate a settimana, più otto di straordinari «se necessario», con tre giorni liberi per la maggior parte degli operai. «La prova non ha dato risultati positivi e penso ritorneremo ai turni di otto ore. Un sistema già reintrodotto in alcuni settori, ad esclusione della catena di montaggio per l’alto numero di ordinativi». Un sistema, quello delle 10 ore, che non va contro le leggi nazionali, che «prescrivono una settimana lavorativa di 40 ore». Il problema è che «l’accordo» sui turni “giapponesi” «non è stato positivo, perché i lavoratori sono troppo sotto sforzo per sopportare i nuovi orari», soprattutto in una «fase iniziale della produzione, che richiede un più intenso lavoro manuale». Le condizioni di lavoro «sono incomparabili rispetto a quelle della fabbrica precedente», la storica Zastava, aggiunge poi Mihajlovic. Prima «non c’era abbastanza lavoro, ora la produzione c’è e non possiamo dirci insoddisfatti», anche se «le condizioni devono e possono essere migliori».

Rimane tuttavia l’urgenza di tornare alle classiche otto ore. Se non sarà così, anche se un accordo di massima con Fiat già c’è, «abbiamo le nostri vie per ristabilire i vecchi turni», ammonisce poi il rappresentante del sindacato. Sindacato che, tuttavia, aveva dato luce verde alla sperimentazione. «Avevamo avvisato che sarebbe stata problematica, che con la produzione di massa i lavoratori non avrebbero resistito fisicamente. Ma la direzione voleva vedere che effetti avrebbe avuto». Adesso è «chiaro che non ci sono effetti positivi e che dobbiamo tornare al precedente sistema».

E la descrizione da parte della stampa, in particolare di quella italiana, di un sistema “schiavistico” nella Fiat serba? «Sono esagerazioni, bisogna capire il contesto che c’è qui. La disoccupazione è al 30% – ricorda Mihajlovic – la gente è costretta ad accettare condizioni che non sarebbero logiche, in Italia. Ma a poco a poco la situazione sta migliorando. Penso che siamo sulla strada giusta per riacquistare la dignità». «E ritengo – chiosa – che qui i lavoratori non siano in una posizione migliore, o peggiore, in confronto ad altri Paesi europei».

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