Ambiente
Ultime corse per dodici ferrovie piemontesi. Comitati e associazioni dei pendolari insorgono
Dodici ferrovie piemontesi chiudono i battenti domenica prossima a seguito di una decisione della Giunta Regionale che punta, così, a risparmiare nei contributi di esercizio. Si tratta di una porzione del patrimonio ferroviario nazionale di ben 450 chilometri che verrà definitivamente abbandonato isolando zone di grande attrazione turistica come le Langhe e il Monferrato o tratte pedemontane strategiche come quelle del Cuneese, del Novarese e del Vercellese. Questa impopolare manovra ha provocato un’alzata di scudi da parte dei comitati dei pendolari, dell’Assoutenti Utp e delle Associazioni aderenti alla Confederazione della Mobilità Dolce. Perché la chiusura di queste ferrovie altro non è che un ulteriore passo nello smantellamento del servizio pubblico che verrà sostituito da autobus privati.
Una decisione, quella della Regione Piemonte, che stride con quanto avvenuto negli ultimi mesi nella confinante Lombardia dove la Giunta Regionale, a fronte dei tagli nei trasferimenti al Tpl imposti dal governo centrale, ha preferito razionalizzare il trasporto su gomma, incrementando invece il numero dei treni, anche sulle linee secondarie, con grande successo di pubblico. Facendosi capofila delle associazioni aderenti a Co.Mo.Do., Assoutenti Utp ha proposto alle Ferrovie Nord lombarde “di rilevare l’esercizio ferroviario sulle linee piemontesi di confine, come l’Arona-Santhià, la Mortara-Casale Monferrato (che serve alcuni comuni lombardi), e la Novi Ligure-Tortona (fruita da molti pendolari diretti a Pavia e Milano)”, rivolgendo, successivamente, un appello a Corrado Passera affinché ponga un vincolo all’alienazione e allo smantellamento delle linee ferroviarie piemontesi “imponendo ad RFI l’onere della manutenzione delle stesse, in attesa di valutare la messa a gara del servizio, laddove altri gestori italiani o esteri, applicando modelli di esercizio più snelli e meno onerosi, possano candidarsi a rilevare le linee in questione”.
Anche il Coordinamento dei Comitati Pendolari piemontesi si è detto fortemente critico e, soprattutto, estremamente preoccupato per i tagli (o, più eufemisticamente, “rimodulazioni”) del trasporto regionale. Secondo i pendolari vi è uno “scopo unico ed obbligato di dichiarare la morte del TPL (Trasporto Pubblico Locale)”. Ecco quanto si legge nel comunicato emanato qualche ora fa:
- È infatti ovvio che se si riduce ulteriormente il servizio e se ne abbassa (se ancora possibile…) la già pessima qualità – in nome proprio dello scarso utilizzo – l’utilizzo stesso non può che diminuire ulteriormente! Sicché alla scadenza dei sei mesi ‘sperimentali’ i tagli/”rimodulazioni” non potranno che diventare definitivi. Inoltre, è evidente che chiudere le tratte ferroviarie abbandonando le strutture a sé stesse, ne rende pressoché impossibile il loro eventuale ripristino: anche solo dopo 2/3 anni riattivare una tratta ferroviaria comporta dei costi ingenti, a volte quasi pari ad una nuova costruzione, per cui – date le scarse risorse economiche disponibili – ciò significa l’impossibilità anche futura di un ritorno alle ferrovie “secondarie” al contrario di quanto avviene in tutta Europa, dove vengono valorizzate, generando ritorni economici e lo sviluppo dei rispettivi bacini, ma anche in Italia con gli esempi positivi della Merano/Malles in Alto Adige e la Foggia/Lucera in Puglia.
- Da sempre i vari Comitati Pendolari nei rispettivi momenti d’incontro, sia a livello locale/provinciale e sia a livello regionale, hanno sostenuto due punti fondamentali:
- 1) l’eliminazione dei “doppioni” bus/treno e, anzi, l’integrazione tra questi servizi;
- 2) organizzare gli orari e la composizione dei convogli in base alle reali necessità dell’utenza: la struttura (cadenza/frequenza) attuale degli orari è quella di 50 anni fa (un’era geologica…).
- Così come, da sempre, i Comitati hanno sottolineato l’inutilità delle varie statistiche e verifiche sull’utilizzo dei treni e sui “costi” del servizio. Se il servizio è di difficile fruibilità (regalare un’ora o più al giorno per il viaggio con il mezzo pubblico è piuttosto pesante per chi utilizzerebbe quotidianamente il treno o il bus) è ovvio che si privilegi la macchina; quindi la valutazione realmente utile sarebbe quella sulla percentuale (molto, molto bassa) di effettivi fruitori/pendolari rispetto ai potenziali fruitori. E capire perché si utilizza in prevalenza il mezzo privato, nonostante il non indifferente divario di costi. Un discorso a parte merita quello delle corrispondenze (le vecchie coincidenze) che secondo noi sono la linfa vitale di queste linee che devono essere di supporto a quelle principali che portano ai capoluoghi. Se da Acqui Terme o Nizza Monferrato non ho una reale garanzia di proseguimento su Torino da Asti (ma lo stesso vale ad Alessandria per altre direttrici) ecco che l’utente raggiunge le città di interscambio in auto, con maggiori rischi personali, inquinamento e congestione della destinazione raggiunta con il mezzo privato. Inoltre vi sono situazioni a dir poco paradossali, che dimostrano l’assoluta incongruità con la quale si programma e si gestisce il TPL. Alcuni esempi: sulle linee Novara-Varallo e Casale-Vercelli – di cui anche i muri sanno il reale motivo del loro “salvataggio” – verranno eliminate le corse-doppioni dei bus, cioè quello che chiediamo da anni (ma, allora, non si poteva fare anche sulle altre linee?); la Alessandria-Ovada e la Tortona-Novi Ligure vengono tenute attive, ma solo per il traffico merci (e perché non far transitare i treni viaggiatori?); la (Alba)-Castagnole Lanze-Asti è stata completamente attrezzata con il sistema di sicurezza SCMT (il più avanzato d’Europa!) e vanta di uno spettacolare viadotto costruito negli anni 80 e poi la si chiude; la Chivasso-Asti è stata attrezzata, dopo oltre un secolo, per la comunicazione tra i convogli ed anche qui poi viene chiusa!
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